Lo sbattezzo è la rivendicazione di un diritto, il cui scopo è l'abbandono formale di una religione che prevede il battesimo come sacramento di adesione.
In Italia lo sbattezzo (che nel linguaggio ecclesiastico viene definito con il termine apostasia) consiste generalmente in una richiesta di cancellazione del proprio nominativo, o nell'inserimento di una annotazione correttiva, dal registro battesimale della parrocchia di appartenenza, o comunque da liste ed elenchi di persone battezzate tenuti dagli enti religiosi, al fine di interrompere qualsiasi residuo contatto formale dopo il maturato distacco spirituale e ad evitare che la persona richiedente lo sbattezzo possa ulteriormente essere in qualche modo connotata come fedele contro la propria intenzione.
Queste procedure vengono praticate da persone che non si riconoscono nella religione e/o nella comunità di fedeli a cui - spesso solo formalmente - appartengono. Ciò può accadere quando chi aveva precedentemente scelto di aderire ad una religione muta di orientamento, oppure quando chi aveva ricevuto il sacramento quando non era in grado di comprenderne il significato (tipicamente dai genitori durante la prima infanzia del figlio) esprime un proprio e diverso orientamento in merito alla religione e decide di formalizzarlo.
lunedì 20 dicembre 2010
Palle piene !!!
Un professore di filosofia all'università un giorno....
Senza dire nulla, quando la lezione iniziò, prese un grosso barattolo di maionese vuoto e lo riempì con delle palline da golf.
Domandò quindi ai suoi studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero di si.
Allora, il professore rovesciò dentro il barattolo una scatola di sassolini, scuotendolo leggermente.
I sassolini occuparono gli spazi fra le palline da golf. Domandò quindi, di nuovo, ai suoi studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero di si.
Il professore, rovesciò dentro il barattolo una scatola di sabbia. Naturalmente, la sabbia occupò tutti gli spazi liberi. Egli domandò ancura una volta agli studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero con un si unanime.
Il professore tirò fuori da sotto la cattedra due bicchieri di vino rosso e li rovesciò interamente dentro il barattolo, riempiendo tutto lo spazio fra i granelli di sabbia.
Gli studenti risero!
“Ora”, disse il professore quando la risata finì, “vorrei che voi cosideraste questo barattolo la vostra vita. Le palline da golf sono le cose importanti; la vostra famiglia, i vostri figli, la vostra salute, i vostri amici e le cose che preferite; cose che se rimanessero dopo che tutto il resto fosse perduto riempirebbero comunque la vostra esistenza.
“I sassolini sono le altre cose che contano, come il vostro lavoro, la vostra casa, l’automobile. La sabbia è tutto il resto, le piccole cose.”
“Se metteste nel barattolo per prima la sabbia”, continuò, “non resterebbe spazio per i sassolini e per le palline da golf. Lo stesso accade per la vita. Se usate tutto il vostro tempo e la vostra energia per le piccole cose, non vi potrete mai dedicare alle cose che per voi sono veramente importanti.
“Curatevi delle cose che sono fondamentali per la vostra felicità. Giocate con i vostri figli, tenete sotto controllo la vostra salute. Portate il vostro partner a cena fuori. Giocate altre 18 buche! Fatevi un altro giro sugli sci! C’è sempre tempo per sistemare la casa e per buttare l’immondizia. Dedicatevi prima di tutto alle palline da golf, le cose che contano sul serio. Definite le vostre priorità, tutto il resto è solo sabbia”.
Una studentessa alzò la mano e chiese che cosa rappresentasse il vino. Il professore sorrise. “Sono contento che tu l’abbia chiesto. Serve solo a dimostrare che per quanto possa sembrare piena la tua vita: c’è sempre spazio per un paio di bicchieri di vino con un amico”.
(Anonimo)
Senza dire nulla, quando la lezione iniziò, prese un grosso barattolo di maionese vuoto e lo riempì con delle palline da golf.
Domandò quindi ai suoi studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero di si.
Allora, il professore rovesciò dentro il barattolo una scatola di sassolini, scuotendolo leggermente.
I sassolini occuparono gli spazi fra le palline da golf. Domandò quindi, di nuovo, ai suoi studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero di si.
Il professore, rovesciò dentro il barattolo una scatola di sabbia. Naturalmente, la sabbia occupò tutti gli spazi liberi. Egli domandò ancura una volta agli studenti se il barattolo fosse pieno ed essi risposero con un si unanime.
Il professore tirò fuori da sotto la cattedra due bicchieri di vino rosso e li rovesciò interamente dentro il barattolo, riempiendo tutto lo spazio fra i granelli di sabbia.
Gli studenti risero!
“Ora”, disse il professore quando la risata finì, “vorrei che voi cosideraste questo barattolo la vostra vita. Le palline da golf sono le cose importanti; la vostra famiglia, i vostri figli, la vostra salute, i vostri amici e le cose che preferite; cose che se rimanessero dopo che tutto il resto fosse perduto riempirebbero comunque la vostra esistenza.
“I sassolini sono le altre cose che contano, come il vostro lavoro, la vostra casa, l’automobile. La sabbia è tutto il resto, le piccole cose.”
“Se metteste nel barattolo per prima la sabbia”, continuò, “non resterebbe spazio per i sassolini e per le palline da golf. Lo stesso accade per la vita. Se usate tutto il vostro tempo e la vostra energia per le piccole cose, non vi potrete mai dedicare alle cose che per voi sono veramente importanti.
“Curatevi delle cose che sono fondamentali per la vostra felicità. Giocate con i vostri figli, tenete sotto controllo la vostra salute. Portate il vostro partner a cena fuori. Giocate altre 18 buche! Fatevi un altro giro sugli sci! C’è sempre tempo per sistemare la casa e per buttare l’immondizia. Dedicatevi prima di tutto alle palline da golf, le cose che contano sul serio. Definite le vostre priorità, tutto il resto è solo sabbia”.
Una studentessa alzò la mano e chiese che cosa rappresentasse il vino. Il professore sorrise. “Sono contento che tu l’abbia chiesto. Serve solo a dimostrare che per quanto possa sembrare piena la tua vita: c’è sempre spazio per un paio di bicchieri di vino con un amico”.
(Anonimo)
giovedì 16 dicembre 2010
In paradiso non si mangia carne
PER UN NATALE SENZA SANGUE
Il Natale è per gli umani un momento di gioia
per milioni di animali un appuntamento con la morte.
Milioni di animali di ogni specie pagano con la sofferenza e con la morte il prezzo di assurde tradizioni.
Vitellini, coniglietti, maialini… saranno strappati alle loro madri per subire una sorte crudele: pensaci.
La vita di ogni essere vivente è sacra, come la tua: rispettala.
Astieniti dal mangiare la carne di qualsiasi animale.
Vi sono tante cose buone da mangiare senza uccidere animali innocenti
che come te e me amano la vita, soffrono e hanno terrore della morte.
Perché uccidi se non vuoi essere ucciso?
Perché causi ad altri ciò che non vorresti per te stesso?
Come possiamo sperare nella misericordia di Dio se siamo impietosi verso le sue creature?
Gesù si è sostituito all’agnello per far cessare questa usanza ingiusta e crudele.
Come si può uccidere e divorare l’agnello nel cui simbolo Gesù si identificato?
“Così parla il Signore mio Dio: Vai a curare quelle pecore da macello che i compratori sgozzano impunemente e i venditori dicono: Sia benedetto il Signore, mi sono arricchito e i pastori non se ne curano affatto. Io non perdonerò agli abitanti del paese”.(Zacc. 11,4-6)
GESU’ HA DETTO:
“Io in verità ve lo dico: colui che uccide uccide se stesso
e colui che mangia la carne degli animali abbattuti mangia
un corpo di morte. Io vi chiederò conto del loro sangue spumeggiante,
il loro sangue nel quale dimora l’anima.
Io vi chiederò conto di ogni animale ucciso”.
(dall’Evangelo della pace di Gesù Cristo secondo l’apostolo Giovanni delle chiese cristiane d’Oriente- originale in aramaico del 3° sec. d.C. Bibl. Vat. 156-P).
“Sono venuto ad abolire i sacrifici di sangue e se non smetterete di compiere sacrifici
l’ira di Dio non si allontanerà da voi” (dal Vangelo degli Ebrei).
Come puoi uccidere e mangiare l’animale nel cui simbolo Cristo si è identificato?
Chiediti: Gesù oggi approverebbe?
“La sorte degli uomini e quella degli animali è la stessa…
Non esiste superiorità dell’uomo rispetto agli animali perché tutto è vanità”. (Eccl. 3,18-21)
NON IMBANDIRE LA TUA TAVOLA DI DOLORE E DI VIOLENZA
Cambia vita, diventa vegetariano, ne beneficeranno la tua salute, la tua coscienza,
il tuo portafoglio e l’intero pianeta.
Come si può pensare che Gesù oggi si schiererebbe dalla parte di chi ritiene legittimo uccidere un animale per mangiare le sue carni e non dalla parte di chi invoca amore
e rispetto per ogni essere in grado di soffrire?
Come si può pensare che Gesù si lascerebbe superare in misericordia e compassione da un essere umano che chiede amore e rispetto per tutte le creature?
La Chiesa non denigra forse il sacrificio di Cristo quando limita il suo valore salvifico all’uomo colpevole ed esclude gli animali innocenti, vittime del peccato dell’uomo?
RICORDATI: IN PARADISO NON SI MANGIA CARNE
REGALATI UN CUORE NUOVO, UNA COSCIENZA PIU’ GIUSTA E SENSIBILE
REGALATI UN ATTO D’AMORE, DIVENTA VEGETARIANO: NE BENEFICERANNO LA TUA SALUTE, IL TUO PORTAFOGLIO E LA TUA COSCIENZA.
Salviamo caprioli e cavoli
Carissimi la Provincia di Belluno ha approvato una delibera che prevede il massacro di circa 1400 femmine e cuccioli di cervi e caprioli nella nostra provincia dal 17 aprile al 29 maggio2011.
Ignorati tutti gli appelli provenienti da ogni fronte sia per un discorso di sensibilità e amore verso queste creature indifese già decimate dalle nevicate eccezzionali di 3 anni fa, sia di sicurezza, in primavera l'erba alta e la vegetazione copiosa rendono più scarsa la visibilità, inoltre le Dolomiti, che rientrano nel Patrimonio dell'Unesco, in questo periodo sono particolarmente frequentate da turisti che amano camminare in montagna.
Inutile il presidiare di noi animalisti il consiglio provinciale, le firme raccolte dalla popolazione contraria, il consiglio ci ha ignorati per prendersi i voti dei cacciatori.
L'unica strada possibile rimane il BOICOTTAGGIO TURISTICO DI MASSA fino allo stremo verso una provincia che ha varato una delibera da medio evo, (le femmine di capriolo partoriscono fine maggio primi di giugno, vi lascio immaginare la fine atroce e lenta cui va incontro il cucciolo se la madre viene colpita) e che non si preoccupa della sicurezza dei propri turisti.
Rimarcherei soprattutto il discorso della sicurezza perchè a questi degli animali non gliene frega niente.
Dite loro che rinuncerete alle vostre abituali ferie nel bellunese e che boicotterete questo territorio se non verrà abrogata questa delibera ed inviterete amici e conoscenti a fare altrettanto. Tamara Panciera tamara.pan@libero.it
Potete mandare la stessa mail ai tre seguenti indirizzi:
mail@infodolomiti.it, ascom@ascombelluno.it, info@webdolomiti.net, assessore.finozzi@regione.veneto.it, c.decesero@provincia.belluno.it,
presidente@provincia.belluno.it, a.vettoretto@provincia.belluno.it,
d.zonta@provincia.belluno.it, s.dezolt@provincia.belluno.it,
l.losso@provincia.belluno.it, redazione@lavocedelnordest.it, federalberghi@ascombelluno.it, belluno@gazzettino.it
vi prego diffondete i messaggi su tutti i siti, facebook ecc.
ESEMPIO DI LETTERA DA INVIARE:
sono venuto a conoscenza della delibera approvata nel bellunese riguardo il massacro di circa 1400 femmine e cuccioli di cervi e caprioli nella vostra provincia dal 17 aprile al 29 maggio2011.Ho anche saputo che sono stati ignorati tutti gli appelli provenienti da ogni fronte, sia per un discorso di sensibilità e amore verso queste creature indifese già decimate dalle nevicate eccezzionali di 3 anni fa, sia di sicurezza, in primavera l'erba alta e la vegetazione copiosa rendono più scarsa la visibilità, inoltre le Dolomiti, che rientrano nel Patrimonio dell'Unesco, in questo periodo sono particolarmente frequentate da turisti che amano camminare in montagna.A questo punto l'unica strada possibile rimane il BOICOTTAGGIO TURISTICO verso la vostra provincia che ha varato una delibera da medioevo, (le femmine di capriolo partoriscono fine maggio primi di giugno, vi lascio immaginare la fine atroce e lenta cui va incontro il cucciolo se la madre viene colpita) e che non si preoccupa della sicurezza dei propri turisti (pensate a una famiglia in giro per una passeggiata in montagna accompagnata da un gruppo di cacciatori che come dimostrano i fatti sono spesso "miopi"...)
presidente@provincia.belluno.it, a.vettoretto@provincia.belluno.it,
d.zonta@provincia.belluno.it, s.dezolt@provincia.belluno.it,
l.losso@provincia.belluno.it, redazione@lavocedelnordest.it, federalberghi@ascombelluno.it, belluno@gazzettino.it
vi prego diffondete i messaggi su tutti i siti, facebook ecc.
ESEMPIO DI LETTERA DA INVIARE:
sono venuto a conoscenza della delibera approvata nel bellunese riguardo il massacro di circa 1400 femmine e cuccioli di cervi e caprioli nella vostra provincia dal 17 aprile al 29 maggio2011.Ho anche saputo che sono stati ignorati tutti gli appelli provenienti da ogni fronte, sia per un discorso di sensibilità e amore verso queste creature indifese già decimate dalle nevicate eccezzionali di 3 anni fa, sia di sicurezza, in primavera l'erba alta e la vegetazione copiosa rendono più scarsa la visibilità, inoltre le Dolomiti, che rientrano nel Patrimonio dell'Unesco, in questo periodo sono particolarmente frequentate da turisti che amano camminare in montagna.A questo punto l'unica strada possibile rimane il BOICOTTAGGIO TURISTICO verso la vostra provincia che ha varato una delibera da medioevo, (le femmine di capriolo partoriscono fine maggio primi di giugno, vi lascio immaginare la fine atroce e lenta cui va incontro il cucciolo se la madre viene colpita) e che non si preoccupa della sicurezza dei propri turisti (pensate a una famiglia in giro per una passeggiata in montagna accompagnata da un gruppo di cacciatori che come dimostrano i fatti sono spesso "miopi"...)
Rinuncerò alle mie abituali ferie nel bellunese e boicotterò questo territorio se non verrà abrogata questa delibera, infine inviterò amici e conoscenti a fare altrettanto.
mercoledì 1 dicembre 2010
The Death of Italian University
Con gli sprechi che ci sono in Italia, veder tagliare i fondi all'università è inaccettabile: il numero delle auto blu circolanti nel "belpaese" aumenta di anno in anno: i politici godono di privilegi assurdi, sprechiamo milioni di euro in una miriade di cose superflue o tatalmente inutili, e poi vogliamo risparmiare sulla scuola ?
- - -
Chi lavora in università?
I docenti sono divisi in :
1) ordinari, son quelli che hanno più potere, la maggior parte sono chiamati "baroni",
2) associati,
3) ricercatori strutturati,
4) ricercatori precari (assegnisti, borsisti, ecc. ecc). Non hanno un contratto di lavoro, la loro condizione è disciplinata dalla legge.
I tecnici, gli amministrativi e i bibliotecari, che hanno un contratto di lavoro dipendente (alcuni a tempo determinato).
La "riforma Gelmini" cambia il governo dell'università (finora retta da 2 assemblee elettive, senato e CDA, dove son presenti, anche se in proporzioni diverse, tutte le componenti, studenti inclusi). Vediamo che cosa potrebbe succedere, anche se il testo è stato modificato decine di volte:
Rettore
Il Rettore diventa un monarca assoluto che nomina la sua corte: infatti è lui che sceglie il Direttore Generale e i componenti del CdA, che quindi non sarà più elettivo. Perciò i rettori potranno liberamente mettere i "propri uomini" in CdA, cioè nel principale organo di potere, e deliberare così ciò che vogliono.
Senato Accademico
Il Senato Accademico viene svuotato di potere. Continua ad essere elettivo, ma rimane un organismo non democratico composto principalmente da docenti.
Il CdA
Il CdA diventa l'organo di potere principale. Avrà 11 componenti di cui nessuno tecnico-amministrativo: il rettore, uno studente eletto, massimo 5 docenti e minimo 4 "esterni" tutti scelti dal rettore. Gli esterni saranno banchieri, industriali o uomini indicati dai partiti politici. Perciò i privati governeranno l'università, e senza neanche dover mettere 1 euro, con tutto quel che ne consegue in termini di libertà di ricerca e di insegnamento.
E' evidente che, se anche non ci sarà la privatizzazione con la trasformazione in fondazione (cosa peraltro contemplata dalla legge), le logiche del lavoro privato entreranno in università.
Il Direttore Generale
Il Direttore Amministrativo viene sostituito dal Direttore Generale, ovvero un manager scelto dal rettore che potrà provenire anche dal settore privato.
L'università in rosso: privatizzazione, fusione o dissesto finanziario
Non è ben chiaro che cosa succederà con gli 800 milioni concessi da Tremonti, che riducono i tagli già operanti e non danno certo nuove risorse. Molte università, però, andranno in rosso a causa dei tagli al finanziamento statale(FFO). Per le università pubbliche si aprono tre possibili strade: la trasformazione in fondazioni di diritto privato; la fusione tra più università; la proclamazione del dissesto finanziario con il conseguente commissariamento da parte del Ministero.
L'autonomia delle università è morta e sepolta
Entro un anno il Governo approverà decreti legislativi per: stabilire la percentuale di personale docente, ricercatore e tecnico-amministrativo di ogni università; stabilire un tetto per la contrattazione integrativa; stabilire un tetto per la spesa del personale a tempo indeterminato e determinato. L'autonomia delle università è morta e sepolta.
Il diritto allo studio sostituito dai prestiti: studenti indebitati!
Dopo aver tagliato di un terzo il fondo per il diritto allo studio che garantisce le borse agli studenti meritevoli, viene istituito un fondo per il merito che servirà per le borse di studio per i "meritevoli" (a prescindere dal reddito) e per istituire dei prestiti ("buoni studio") da restituire in parte dopo il conseguimento della laurea secondo tempi proporzionati al reddito di lavoro percepito dal laureato.
Ricercatore = precario
I ricercatori, in futuro, non saranno più a tempo indeterminato. Viene istituita, accanto alle forme di precariato già esistenti, la figura del ricercatore a tempo determinato con contratto triennale rinnovabile di altri tre anni. L'età media dell'entrata "in ruolo" dei ricercatori, già alta (36 anni), si alzerà ancora di più e non vengono garantite le risorse per assumere chi otterrà, nel periodo a tempo determinato, l'abilitazione nazionale come docente.
Dopo 6 anni un ricercatore, anche se avrà ottenuto l'abilitazione nazionale, se non ci saranno soldi per assumerlo, sarà espulso.
Reclutamento della docenza: rafforzato il potere dei baroni, rettore e CdA
Viene rafforzato il potere dei professori ordinari (i baroni) nelle commissioni per il reclutamento della docenza. Inoltre il CdA, su proposta del Rettore, potrà evitare di fare i concorsi pubblici tramite la "chiamata diretta" dei docenti amici.
Che titoli offre oggi l'università?
Oggi l'università è indubbiamente più facile che in passato, ma offre titoli largamente svalutati. C'è una prima laurea triennale. Poi ci si può iscrivere a un biennio di specializzazione. Ormai, però, questi titoli son considerati insufficienti, e quindi inizia il costosissimo calvario dei master, o dei corsi di specializzazione (spesso privati).
Molti docenti dedicano poco tempo alla didattica e alla ricerca di base e molto a curare i propria affari. Molti esercitano anche la libera professione (avvocati, medici, consulenti). I docenti sono gli unici lavoratori che possono fare legalmente doppi lavori mentre sono in servizio e , pertanto, versando una minima percentuale agli atenei, fanno ricerche e consulenze, in università, a favore di aziende private e di enti pubblici. Lezioni, esami, tesi, di solito sono demandati a ricercatori precari e dottorandi.
martedì 30 novembre 2010
Monika - Avatar (Album 2008) from Greece
Great voice, exceptional interpretation!! Irreproachable cohesion and succession of pieces.An incredibly touching disk,a big surprise from our country (Greece)!
Tracklist:
1.Favourite
2.Bloody 5th
3.Are You Coming with Us
4.Babe
5.Pretend
6.Obsession
7.To No Avail
8.Excuse My Friends
9.Over the Hill
10.Avatar
11.Not Young in My Youth
12.Misery Loves Company
13.Fraud
A 21 years old student from Athens, Greece. At the age of 5 she started playing the piano and at 10 she bought her first guitar. A little later, she joined an orchestra in order to take saxophone lessons that lasted 5 years. She can also play some accordion and drums. She used to be a member of her brother’s band “Serpentine” where she did some basic vocals and played the electric guitar.
A year later, she came to Athens to study mathematics and started recording some songs in her computer. At the same time, she became a member of “Relevant Box” where she played the saxophone and did backing vocals. In the summer of 2005, she recorded some stuff for “My Wet Calvin” and in February she recorded a saxophone piece for the band “MENTA”. Her first single “Over the Hill” was released in early May 2008 and her debut album “Avatar” in the 19th of the same month.
All tracks written by MONIKA, recorded & arranged by Ottomo, mixed by Ian Caple (Tindersticks, Tricky, Yann Tiersen ), mastered by Ted Jensen (NY Sterling Sound)
ascolta l'album intero
Monika - Exit (Album 2010)
Tracklist:
1. Ca Commence Bien (04:55)
2. Never (05:06)
3. Yes I Do (03:28)
4. Away From My Land (04:41)
5. Not Enough (05:04)
6. Take A Little Bit Of Me (04:17)
7. Our Love Or How We Lost It (07:28)
8. Show Me, Come On (04:37)
9. Studio House (03:02)
10. Run To Ruin (03:57)
11. Stars Won't Shine (02:44)
12. Exit (04:49)
Monika's first album "Avatar" immense success caused emotions in Greece: an english singing Greek artist hadn't broken into mainstream since forever and, against the ~20.000 copies sold and the unbelievable hype surrounding them, words and words were written and spoken about her. The audience obviously loved her (thus the sales). But some really mean things were said from people who should think before eating their tail, and yes, I am talking about the majors and the indie bands.
Imo, she has talent, but I would point out that she differs in the point of view: her album was different that any other "indie" greek album, it just sounded differently. Good or bad, it doesn't matter, because it found it's way to people's ears and THEY JUST LIKED IT.
Now, Monika has prepared her second album, called "Exit", in Germany and it will be out next Wednesday. She remains on the same road she went down on her debut, while pushing towards an even more pompous result. A song like "Yes I Do" is a good example: there are certainly some ideas in the production, like the use of traditional greek instruments, the contradiction between the voices, the effort for a new result.
ascolta attentamente
lunedì 29 novembre 2010
mici lisergici
Nuovi studi hanno evidenziato che ai gatti piace andare alla ricerca di piante particolarmente aromatiche in grado di stimolare in loro piacevoli stimolazioni a livello neurologico. Il risultato è incredibile e verosimigliante alla situazione di un umano sotto effetto di droghe o alcool. Doopo aver assunto queste sostanze appaiono particolarmente mansueti, fanno le fuse e perdono l'equilibrio.
Fermateli! Stop them!
What a stupid sport! How may they call this sport? Che sport stupido! Ma come fanno a chiamarlo sport?
martedì 16 novembre 2010
lunedì 18 ottobre 2010
Smadar & Eran from Jerusalem
Up: Me, Smadar & Eran in my kitchen in Roma, friday 15th October 2010
Below: Cashew is confortably waiting for the coming back of Eran and Smadar
Cashew counts the days and the nights without Smadar and Eran.
Cashew waits for the food by Smadar and Eran because it's more good.
Without Smadar and Eran, Cashew should be a poor cat!
Below: Cashew is confortably waiting for the coming back of Eran and Smadar
Cashew counts the days and the nights without Smadar and Eran.
Cashew waits for the food by Smadar and Eran because it's more good.
Without Smadar and Eran, Cashew should be a poor cat!
giovedì 14 ottobre 2010
Enfance Rouge
Enfance Rouge - "ROSTOCK-NAMUR" 2001
1 L'ESCAMOT ROIG
2 L'ÂGE D'OR (Léo Ferré) dedicated to Cécile Collart
3 TOMBEAU POUR NEW YORK (extrait du poème d' Adonis)
4 AJUSTEMENT STRUCTUREL
5 ITALIENISCHE TANZKRANKHEIT (to Mario Biserni)
[ 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 ] BOICOTTT (THEE FILTHY BASTARDS)
37 OTRANTO
38 HEIDELBERG
39 BARRIO CHINO
40 CALLE DE LOS DESAMPARADOS
41 BE YOUR DOG (FR Cambuzat/Stooges)
42 SHANG KOU
43 GAIO E GIALLO
44 LA FILLE AUX JAMBES RAYÉES
45 DAYTON ( fil-amirikiiya )
[ 46 47 48 49 50 ] Bonus Tracks
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1 L'ESCAMOT ROIG
2 L'ÂGE D'OR (Léo Ferré) dedicated to Cécile Collart
3 TOMBEAU POUR NEW YORK (extrait du poème d' Adonis)
4 AJUSTEMENT STRUCTUREL
5 ITALIENISCHE TANZKRANKHEIT (to Mario Biserni)
[ 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 ] BOICOTTT (THEE FILTHY BASTARDS)
37 OTRANTO
38 HEIDELBERG
39 BARRIO CHINO
40 CALLE DE LOS DESAMPARADOS
41 BE YOUR DOG (FR Cambuzat/Stooges)
42 SHANG KOU
43 GAIO E GIALLO
44 LA FILLE AUX JAMBES RAYÉES
45 DAYTON ( fil-amirikiiya )
[ 46 47 48 49 50 ] Bonus Tracks
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Zorba like Cashew: incredible!
This post is for two friends of mine, Smadar & Eran, because we have got two strange cats, Cashew up, Zorba down!
domenica 10 ottobre 2010
Colza...a pennello!
Colza - Brassica napus L. var. Oleifera D.C.
Classe: Dicotyledonae
Ordine: Rhoedales
Famiglia: Cruciferae - Brassicaceae
Tribù: Brassiceae
Specie: Brassica napus L. var. Oleifera D.C.
Coltivata nei climi nordici (soprattutto in Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia e Olanda) come alimento per animali, fonte di olio vegetale alimentare e come combustibile nel biodiesel. La colza è uno dei raccolti principali in India, coltivato sul 13% dei terreni agricoli.
Secondo il Dipartimento di agricoltura degli Stati Uniti nel 2000 la colza era la terza fonte di olio vegetale al mondo (dopo la soia e la palma) e la seconda fonte mondiale di proteine sebbene si raggiungesse soltanto un quinto della produzione di soia. In Europa, la colza viene coltivata principalmente come foraggio (per via dell'elevato contenuto di lipidi e medio di proteine), ed è la scelta europea prioritaria per evitare la dipendenza dalla soia americana e l'importazione di semi di soia geneticamente modificati.
L'olio di colza viene ricavato dai semi della pianta. L'olio viene usato in alimentazione dopo essere stato raffinato e miscelato ad altri oli poiché all'origine ha sapore e odore poco gradevoli. L'olio di colza contiene acido erucico, leggermente tossico per gli esseri umani in grandi dosi ma usato come additivo alimentare in piccole dosi. Proprio per il contenuto di acido erucico l'olio di colza non era ammesso per l'alimentazione umana in Italia. La legislazione varia in altri paesi.
Canola è una specifica varietà di colza dal basso contenuto di acido erucico che è stata sviluppata in Canada: il suo nome è composto da Canadian oil low acid (Olio canadese a basso contenuto di acido).
Il seme è la parte di valore della coltura che viene anche coltivata come coltura di copertura invernale. Provvede a una buona copertura del suolo in inverno, e limita il dilavamento dell'azoto. La pianta viene miscelata nel suolo tramite aratura o usata come pacciamatura.
La lavorazione dei semi per ricavare l'olio produce un residuo usato nell'alimentazione degli animali da allevamento. Questo sottoprodotto è un alimento molto ricco di proteine e può competere con la soia. È usato principalmente per nutrire i bovini, ma anche per maiali e polli (meno importante per questi ultimi). Il sottoprodotto per animali ha un basso contenuto di glucosinolati (causa di disturbi del metabolismo per bovini e suini).
Alcune varietà di colza sono vendute come verdura, soprattutto nei negozi asiatici.
campi di colza in Francia
caterinet immersa in un campo di colza in Francia
giovedì 7 ottobre 2010
meglio soli che...male accompagnati !!!
Libere di essere sole
Tutti gli individui, a meno di precise scelte di carattere ideologico e/o religioso, quando si affacciano alla vita adulta, sognano e progettano di condividere con qualcuno la propria esistenza.
Il bisogno di amore e di compagnia è uno dei bisogni fondamentali. E’ connaturato con l’essere vivente e si associa alle necessità biologiche del nutrimento e del sonno già nelle prime fasi del ciclo della vita.
Generalmente, e in prima battuta, nessuno sceglie di vivere solo, a meno che non vi sia indotto da un orientamento ideologico o dalle circostanze contingenti. In ogni caso, per riuscire a vivere soli in una condizione di benessere, occorre prima avere navigato a lungo, seguendo le rotte tumultuose della vita; occorre aver battuto molti sentieri impervi e aver sperimentato a fondo le gioie e i dolori che derivano dalla vicinanza e dal legame con gli altri esseri umani, nostri occasionali o permanenti compagni di viaggio. Occorre avere condiviso molto, avere amato molto, forse odiato, comunque sofferto. Solo allora è possibile cercare la solitudine, trasformarla in una scelta consapevole e intenzionale, arrivando al traguardo della propria autonomia.
Per imparare a stare soli e ad amare la solitudine è indispensabile, dunque, allenarsi a fondo.
La voglia di solitudine, infatti, non implica automaticamente la capacità di affrontarla. Non è detto che un individuo, pur desiderando e ricercando l’esperienza della solitudine, sia in grado di apprezzare la compagnia di se stesso, di tollerare l’ascolto dei propri pensieri, di sostenere il proprio sguardo che penetra nella profondità dell’essere. Il rumore del silenzio può risultare assordante.
Molti individui, quando si ritrovano soli in casa, accendono la radio o il televisore semplicemente per immergersi nel rumore, per sentire risuonare voci che neppure ascoltano. Accendono luci in tutte le stanze per sconfiggere le inquietanti ombre della notte e fingere di sentirsi in un ambiente confortevole e caldo. Ogni inganno è buono pur di evitare un imbarazzante faccia a faccia con se stessi e la paura dell’ignoto.
Tratto dal libro "Meglio sole"
Meglio sole. Perché è importante bastare a se stesse
(...vale anche per gli uomini chiaramente...)
“...Quante donne sono convinte di non potercela fare da sole, senza un uomo che le supporti, le protegga e, forse anche, le mantenga?
Strano paradosso. Le donne si declassano a torto, mentre dovrebbero imparare a riconoscere e valorizzare ciò che hanno assimilato nel corso di un lungo apprendistato: hanno imparato a organizzare la loro vita e quella degli altri, a sopportare fatiche, a smaltire delusioni e tradimenti. Perfino a ricominciare daccapo ogni volta che il mondo crolla loro addosso. Che cosa fa credere alle donne di non potercela fare senza un uomo?
Gli uomini sono i benvenuti nella vita delle donne, ma non sono indispensabili. La loro presenza può essere un prezioso arricchimento, ma sbagliano le donne che continuano a far dipendere la propria vita da un uomo e pensare di non avere sufficienti risorse per cavarsela da sole.
La paura di non avere abbastanza coraggio e intraprendenza, di non riuscire a vivere sole, senza sentirsi abbandonate e perdute, induce molte donne e anche molti uomini, a unire la propria solitudine a quella di un’altra persona. Certi matrimoni affrettati, certe convivenze premature hanno origine da questo desiderio di scongiurare il rischio di un’esistenza priva della vicinanza e del conforto di una presenza costante al proprio fianco. L’essenziale, sembrano pensare questi individui timorosi, è non ritrovarsi soli fisicamente. Lo considerano il peggiore dei mali.
Eppure è veramente difficile che dall’incontro di due “solitudini” possa nascere uno stato di benessere durevole. Può infatti accadere che il disagio personale venga amplificato da uno stato di conflittualità, di intolleranza o, peggio ancora, di indifferenza reciproca. Le speranze, riposte nel partner, di avere finalmente trovato un compagno di viaggio disposto ad alleviare fatiche di un impervio cammino quale si rivela l’esistenza, finiscono spesso per naufragare miseramente, lasciando un senso di fallimento ancora più intollerabile della percezione del vuoto che aveva indotto la ricerca di compagnia e di condivisone.
Meglio dunque riconciliarsi con la propria solitudine prima di fare scelte avventate. L’angoscia e la paura sono pessime consigliere. La scelta del partner e della vita di coppia offre migliori garanzie, quando non è suggerita dall’emergenza e dall’impulso a rifuggire a qualunque costo la condizione di single.
Non essere in grado di vivere soli, almeno temporaneamente, implica pericolosa fragilità. Significa mantenere se stessi in uno stato di perenne necessità, in cui agli altri vengono demandati il controllo della nostra vita e la responsabilità del nostro benessere affettivo. Con tale prospettiva, il margine di errore della nostra facoltà di scelta è ampio: il bisogno rende ciechi e sordi alla prudenza più elementare.”
(Ivana Castoldi)
Questo libro vuole tessere l’elogio della solitudine, intesa non certo come isolamento e chiusura verso gli altri, ma come uno stato di libertà interiore che si realizza quando l’individuo ha raggiunto la consapevolezza che c’è una sola persona al mondo sulla quale può contare incondizionatamente, che può riconoscere le sue aspirazioni più genuine: se stesso.
Gli altri, se siamo fortunati, ci accompagneranno e potranno contribuire al nostro benessere, colmare le nostre inevitabili mancanze, ma non potranno sostituirsi a noi per scegliere e agire al posto nostro. Non dovremmo, comunque, permetterlo.
Sono soltanto gli anni dell’infanzia quelli in cui ci è consentito, o dovrebbe esserlo, affidarci a una figura adulta che si assuma temporaneamente la responsabilità della nostra vita. Solo allora abbiamo diritto di aspettarci che qualcun altro risolva i nostri problemi, lenisca le nostre ferite e ci sollevi dalla fatica di vivere. In seguito, nulla ci verrà risparmiato e pagheremo di persona. Nel bene come nel male.
Dunque, impariamo a vivere in solitudine e ad apprezzarla come una condizione stimolante che affina la nostra capacità di autonomia e di scambio con gli altri.
Riguardo a questa conquista le donne sembrano più brave degli uomini, nonostante abbiano avuto un apprendistato di continua dedizione agli altri, di massiccia condivisione di spazi e di tempo con gli altri. Nonostante lo spettro della solitudine; nonostante la paura di non incontrare.”l’uomo giusto” le abbia perseguitate a lungo, attraverso i commenti e le sollecitazioni di madri, zie, padri e amiche.
Eppure, quando arriva il momento del risveglio, queste donne plasmate dai pregiudizi e dalle aspettative familiari e sociali, sono capaci di rivoltare la loro vita come un guanto, scoprendosi risorse inaspettate e una determinazione al cambiamento che niente e nessuno riuscirà più ad arrestare.
Sarà che la misura è ormai colma. Sarà che l’inganno è stato svelato e le donne hanno finalmente potuto vedere l’altra faccia della medaglia e trovare la chiave d’accesso a una dimensione nuova: la loro presunta debolezza nascondeva una forza insospettata e la capacità di superare paure e perdite, insidie e dolori, di fronte ai quali molti uomini fuggirebbero a gambe levate.
Il libro è dedicato a queste donne coraggiose e a tutte quelle che ancora non hanno avuto occasione di scoprire il loro coraggio.
Dopo tante discussioni teoriche, analisi sociologiche e studi sulla condizione femminile, è tempo di cominciare a rivalutarsi davvero e a praticare nella concretezza della vita quotidiana quella parità acquisita giuridicamente grazie alle battaglie ideologiche e politiche di tante donne. Al di fuori delle polemiche e delle sterili contrapposizioni teoriche; guidate piuttosto dal desiderio di trovare un equilibrio più stabile tra i due sessi, che andrà a vantaggio di tutti, uomini compresi.
Le donne scoprono la loro forza grazie ad un impulso potenziale, istintivo, che le guida quando sono ancora cieche e confuse. Un terremoto sta sconvolgendo la loro vita e minaccia di lasciarle prostrate a terra, senza respiro, quando una forza vitale prende il sopravvento: le scuote, le ritempra di nuova energia, le costringe a rialzarsi e a riprendere il cammino, cambiando direzione. A questa forza bisogna dare ascolto; bisogna chiamare a raccolta i brandelli di vita che ci sono rimasti e cambiare rotta.
Molte donne si arrendono; preferiscono lasciarsi vincere dalla loro sofferenza, sentendosi ingiustamente vittime dell’incomprensione e dell’ingratitudine degli altri.
Altre, anch’esse numerose, si ostinano a battere e a ribattere gli stessi sentieri: pensano ogni volta che sia la volta buona, che finalmente andranno incontro a un futuro smagliante. Al contrario, si allungherà inevitabilmente la lista delle delusioni e dei fallimenti.
Bisogna avere il coraggio di fare piazza pulita, abbattere i pilastri sui quali avevamo edificato le certezze della nostra vita, cambiare i riferimenti, trovare materiale nuovo per edificare una casa che possiamo riconoscere come nostra. Così fanno le donne che imparano a vivere sole, non necessariamente single, ma “sole”.
La solitudine è una condizione interiore, una particolare modalità di rapporto con se stessi e con gli altri, che può diventare una condizione di vita da single oppure no, come nella maggior parte dei casi.
Potremmo chiamarla in un altro modo, scegliendo un vocabolo meno inflazionato, che non evochi fastidiose sensazioni di smarrimento e abbandono. Ma non lo faremo. Per il gusto della provocazione, per la voglia di dimostrare che è sempre possibile ristrutturare la realtà, cambiando la prospettiva e ignorando le etichette.
Perciò, affronteremo questo mostro guardandolo bene negli occhi, senza arretrare di fronte al suo aspetto minaccioso. Apparentemente minaccioso.
La prospettiva della solitudine terrorizza, infatti, la maggioranza degli individui. Essere soli viene associato all’essere abbandonati, rifiutati, infelici. Quasi mai all’essere liberi, forti e capaci di godere pienamente delle opportunità che la vita sa offrire.
Si può essere felicemente soli anche godendo della compagnia delle persone che camminano al nostro fianco, lungo il percorso della vita.
L’autonomia personale (che sia questa la faccia luminosa della solitudine?) si può perfettamente conciliare sia con la vita da single che con la vita di coppia o di comunità. Questo obiettivo è particolarmente importante per le donne, per le quali non esiste giorno dell’esistenza in cui non debbano tenere conto di qualcuno: non debbano accudirlo, proteggerlo, amarlo.
Un amore finito male, un matrimonio fallito, i figli che lasciano la casa paterna. Di solito comincia così il cammino della donna verso una reale emancipazione. Comincia sempre con un dolore, un abbandono, una perdita. Comincia sempre, e procede, faticosamente.
Fino a quel momento, noi donne siamo state troppo assorbite dal compito di amare gli altri: il marito, il compagno, i figli. E’ un compito impegnativo che richiede, almeno così crediamo e ci hanno insegnato, una dedizione assoluta. Questo compito ci ha fatto dimenticare i nostri sogni più riposti, i nostri slanci, le nostre speranze di adolescenti. Ci siamo estraniate da noi stesse e non sappiamo più ritrovarci.
Dieci, vent’anni passano in un soffio. Ci guardiamo alle spalle solo quando un evento speciale ci scuote all’improvviso e ci coglie impreparate: uno di quegli eventi che sconvolgono la vita, come la fine di un amore o la perdita di qualcuno che amiamo.
Abbiamo forse creduto di essere donne diverse dalle nostre madri, di essere capaci di meritare il riconoscimento del nostro valore e della nostra competenza; abbiamo creduto di aver contribuito al cambiamento del ruolo femminile nella società e di colpo ci rendiamo conto di quanto la nostra vita sia lontana dalle idee che abbiamo sempre professato. Ci siamo crogiolate molto tempo nell’illusione di esserci “realizzate” e scopriamo che il traguardo è forse più lontano di quando abbiamo iniziato il cammino.
Allora andiamo in crisi, ci lamentiamo, ci deprimiamo e consumiamo altre energie preziose nel vano tentativo di ottenere comprensione e solidarietà da parte degli altri: partner di turno, amici, figli. Sempre guidate dal bisogno di trovare conferme e consenso fuori di noi, come se da sole non fossimo in grado di riconoscere il nostro valore.
Eppure, la soluzione dei nostri problemi è più a portata di mano di quanto crediamo.
Tutti gli individui, a meno di precise scelte di carattere ideologico e/o religioso, quando si affacciano alla vita adulta, sognano e progettano di condividere con qualcuno la propria esistenza.
Il bisogno di amore e di compagnia è uno dei bisogni fondamentali. E’ connaturato con l’essere vivente e si associa alle necessità biologiche del nutrimento e del sonno già nelle prime fasi del ciclo della vita.
Generalmente, e in prima battuta, nessuno sceglie di vivere solo, a meno che non vi sia indotto da un orientamento ideologico o dalle circostanze contingenti. In ogni caso, per riuscire a vivere soli in una condizione di benessere, occorre prima avere navigato a lungo, seguendo le rotte tumultuose della vita; occorre aver battuto molti sentieri impervi e aver sperimentato a fondo le gioie e i dolori che derivano dalla vicinanza e dal legame con gli altri esseri umani, nostri occasionali o permanenti compagni di viaggio. Occorre avere condiviso molto, avere amato molto, forse odiato, comunque sofferto. Solo allora è possibile cercare la solitudine, trasformarla in una scelta consapevole e intenzionale, arrivando al traguardo della propria autonomia.
Per imparare a stare soli e ad amare la solitudine è indispensabile, dunque, allenarsi a fondo.
La voglia di solitudine, infatti, non implica automaticamente la capacità di affrontarla. Non è detto che un individuo, pur desiderando e ricercando l’esperienza della solitudine, sia in grado di apprezzare la compagnia di se stesso, di tollerare l’ascolto dei propri pensieri, di sostenere il proprio sguardo che penetra nella profondità dell’essere. Il rumore del silenzio può risultare assordante.
Molti individui, quando si ritrovano soli in casa, accendono la radio o il televisore semplicemente per immergersi nel rumore, per sentire risuonare voci che neppure ascoltano. Accendono luci in tutte le stanze per sconfiggere le inquietanti ombre della notte e fingere di sentirsi in un ambiente confortevole e caldo. Ogni inganno è buono pur di evitare un imbarazzante faccia a faccia con se stessi e la paura dell’ignoto.
Tratto dal libro "Meglio sole"
Meglio sole. Perché è importante bastare a se stesse
(...vale anche per gli uomini chiaramente...)
“...Quante donne sono convinte di non potercela fare da sole, senza un uomo che le supporti, le protegga e, forse anche, le mantenga?
Strano paradosso. Le donne si declassano a torto, mentre dovrebbero imparare a riconoscere e valorizzare ciò che hanno assimilato nel corso di un lungo apprendistato: hanno imparato a organizzare la loro vita e quella degli altri, a sopportare fatiche, a smaltire delusioni e tradimenti. Perfino a ricominciare daccapo ogni volta che il mondo crolla loro addosso. Che cosa fa credere alle donne di non potercela fare senza un uomo?
Gli uomini sono i benvenuti nella vita delle donne, ma non sono indispensabili. La loro presenza può essere un prezioso arricchimento, ma sbagliano le donne che continuano a far dipendere la propria vita da un uomo e pensare di non avere sufficienti risorse per cavarsela da sole.
La paura di non avere abbastanza coraggio e intraprendenza, di non riuscire a vivere sole, senza sentirsi abbandonate e perdute, induce molte donne e anche molti uomini, a unire la propria solitudine a quella di un’altra persona. Certi matrimoni affrettati, certe convivenze premature hanno origine da questo desiderio di scongiurare il rischio di un’esistenza priva della vicinanza e del conforto di una presenza costante al proprio fianco. L’essenziale, sembrano pensare questi individui timorosi, è non ritrovarsi soli fisicamente. Lo considerano il peggiore dei mali.
Eppure è veramente difficile che dall’incontro di due “solitudini” possa nascere uno stato di benessere durevole. Può infatti accadere che il disagio personale venga amplificato da uno stato di conflittualità, di intolleranza o, peggio ancora, di indifferenza reciproca. Le speranze, riposte nel partner, di avere finalmente trovato un compagno di viaggio disposto ad alleviare fatiche di un impervio cammino quale si rivela l’esistenza, finiscono spesso per naufragare miseramente, lasciando un senso di fallimento ancora più intollerabile della percezione del vuoto che aveva indotto la ricerca di compagnia e di condivisone.
Meglio dunque riconciliarsi con la propria solitudine prima di fare scelte avventate. L’angoscia e la paura sono pessime consigliere. La scelta del partner e della vita di coppia offre migliori garanzie, quando non è suggerita dall’emergenza e dall’impulso a rifuggire a qualunque costo la condizione di single.
Non essere in grado di vivere soli, almeno temporaneamente, implica pericolosa fragilità. Significa mantenere se stessi in uno stato di perenne necessità, in cui agli altri vengono demandati il controllo della nostra vita e la responsabilità del nostro benessere affettivo. Con tale prospettiva, il margine di errore della nostra facoltà di scelta è ampio: il bisogno rende ciechi e sordi alla prudenza più elementare.”
(Ivana Castoldi)
Questo libro vuole tessere l’elogio della solitudine, intesa non certo come isolamento e chiusura verso gli altri, ma come uno stato di libertà interiore che si realizza quando l’individuo ha raggiunto la consapevolezza che c’è una sola persona al mondo sulla quale può contare incondizionatamente, che può riconoscere le sue aspirazioni più genuine: se stesso.
Gli altri, se siamo fortunati, ci accompagneranno e potranno contribuire al nostro benessere, colmare le nostre inevitabili mancanze, ma non potranno sostituirsi a noi per scegliere e agire al posto nostro. Non dovremmo, comunque, permetterlo.
Sono soltanto gli anni dell’infanzia quelli in cui ci è consentito, o dovrebbe esserlo, affidarci a una figura adulta che si assuma temporaneamente la responsabilità della nostra vita. Solo allora abbiamo diritto di aspettarci che qualcun altro risolva i nostri problemi, lenisca le nostre ferite e ci sollevi dalla fatica di vivere. In seguito, nulla ci verrà risparmiato e pagheremo di persona. Nel bene come nel male.
Dunque, impariamo a vivere in solitudine e ad apprezzarla come una condizione stimolante che affina la nostra capacità di autonomia e di scambio con gli altri.
Riguardo a questa conquista le donne sembrano più brave degli uomini, nonostante abbiano avuto un apprendistato di continua dedizione agli altri, di massiccia condivisione di spazi e di tempo con gli altri. Nonostante lo spettro della solitudine; nonostante la paura di non incontrare.”l’uomo giusto” le abbia perseguitate a lungo, attraverso i commenti e le sollecitazioni di madri, zie, padri e amiche.
Eppure, quando arriva il momento del risveglio, queste donne plasmate dai pregiudizi e dalle aspettative familiari e sociali, sono capaci di rivoltare la loro vita come un guanto, scoprendosi risorse inaspettate e una determinazione al cambiamento che niente e nessuno riuscirà più ad arrestare.
Sarà che la misura è ormai colma. Sarà che l’inganno è stato svelato e le donne hanno finalmente potuto vedere l’altra faccia della medaglia e trovare la chiave d’accesso a una dimensione nuova: la loro presunta debolezza nascondeva una forza insospettata e la capacità di superare paure e perdite, insidie e dolori, di fronte ai quali molti uomini fuggirebbero a gambe levate.
Il libro è dedicato a queste donne coraggiose e a tutte quelle che ancora non hanno avuto occasione di scoprire il loro coraggio.
Dopo tante discussioni teoriche, analisi sociologiche e studi sulla condizione femminile, è tempo di cominciare a rivalutarsi davvero e a praticare nella concretezza della vita quotidiana quella parità acquisita giuridicamente grazie alle battaglie ideologiche e politiche di tante donne. Al di fuori delle polemiche e delle sterili contrapposizioni teoriche; guidate piuttosto dal desiderio di trovare un equilibrio più stabile tra i due sessi, che andrà a vantaggio di tutti, uomini compresi.
Le donne scoprono la loro forza grazie ad un impulso potenziale, istintivo, che le guida quando sono ancora cieche e confuse. Un terremoto sta sconvolgendo la loro vita e minaccia di lasciarle prostrate a terra, senza respiro, quando una forza vitale prende il sopravvento: le scuote, le ritempra di nuova energia, le costringe a rialzarsi e a riprendere il cammino, cambiando direzione. A questa forza bisogna dare ascolto; bisogna chiamare a raccolta i brandelli di vita che ci sono rimasti e cambiare rotta.
Molte donne si arrendono; preferiscono lasciarsi vincere dalla loro sofferenza, sentendosi ingiustamente vittime dell’incomprensione e dell’ingratitudine degli altri.
Altre, anch’esse numerose, si ostinano a battere e a ribattere gli stessi sentieri: pensano ogni volta che sia la volta buona, che finalmente andranno incontro a un futuro smagliante. Al contrario, si allungherà inevitabilmente la lista delle delusioni e dei fallimenti.
Bisogna avere il coraggio di fare piazza pulita, abbattere i pilastri sui quali avevamo edificato le certezze della nostra vita, cambiare i riferimenti, trovare materiale nuovo per edificare una casa che possiamo riconoscere come nostra. Così fanno le donne che imparano a vivere sole, non necessariamente single, ma “sole”.
La solitudine è una condizione interiore, una particolare modalità di rapporto con se stessi e con gli altri, che può diventare una condizione di vita da single oppure no, come nella maggior parte dei casi.
Potremmo chiamarla in un altro modo, scegliendo un vocabolo meno inflazionato, che non evochi fastidiose sensazioni di smarrimento e abbandono. Ma non lo faremo. Per il gusto della provocazione, per la voglia di dimostrare che è sempre possibile ristrutturare la realtà, cambiando la prospettiva e ignorando le etichette.
Perciò, affronteremo questo mostro guardandolo bene negli occhi, senza arretrare di fronte al suo aspetto minaccioso. Apparentemente minaccioso.
La prospettiva della solitudine terrorizza, infatti, la maggioranza degli individui. Essere soli viene associato all’essere abbandonati, rifiutati, infelici. Quasi mai all’essere liberi, forti e capaci di godere pienamente delle opportunità che la vita sa offrire.
Si può essere felicemente soli anche godendo della compagnia delle persone che camminano al nostro fianco, lungo il percorso della vita.
L’autonomia personale (che sia questa la faccia luminosa della solitudine?) si può perfettamente conciliare sia con la vita da single che con la vita di coppia o di comunità. Questo obiettivo è particolarmente importante per le donne, per le quali non esiste giorno dell’esistenza in cui non debbano tenere conto di qualcuno: non debbano accudirlo, proteggerlo, amarlo.
Un amore finito male, un matrimonio fallito, i figli che lasciano la casa paterna. Di solito comincia così il cammino della donna verso una reale emancipazione. Comincia sempre con un dolore, un abbandono, una perdita. Comincia sempre, e procede, faticosamente.
Fino a quel momento, noi donne siamo state troppo assorbite dal compito di amare gli altri: il marito, il compagno, i figli. E’ un compito impegnativo che richiede, almeno così crediamo e ci hanno insegnato, una dedizione assoluta. Questo compito ci ha fatto dimenticare i nostri sogni più riposti, i nostri slanci, le nostre speranze di adolescenti. Ci siamo estraniate da noi stesse e non sappiamo più ritrovarci.
Dieci, vent’anni passano in un soffio. Ci guardiamo alle spalle solo quando un evento speciale ci scuote all’improvviso e ci coglie impreparate: uno di quegli eventi che sconvolgono la vita, come la fine di un amore o la perdita di qualcuno che amiamo.
Abbiamo forse creduto di essere donne diverse dalle nostre madri, di essere capaci di meritare il riconoscimento del nostro valore e della nostra competenza; abbiamo creduto di aver contribuito al cambiamento del ruolo femminile nella società e di colpo ci rendiamo conto di quanto la nostra vita sia lontana dalle idee che abbiamo sempre professato. Ci siamo crogiolate molto tempo nell’illusione di esserci “realizzate” e scopriamo che il traguardo è forse più lontano di quando abbiamo iniziato il cammino.
Allora andiamo in crisi, ci lamentiamo, ci deprimiamo e consumiamo altre energie preziose nel vano tentativo di ottenere comprensione e solidarietà da parte degli altri: partner di turno, amici, figli. Sempre guidate dal bisogno di trovare conferme e consenso fuori di noi, come se da sole non fossimo in grado di riconoscere il nostro valore.
Eppure, la soluzione dei nostri problemi è più a portata di mano di quanto crediamo.
lunedì 4 ottobre 2010
domenica 3 ottobre 2010
O Porto branco
Era il maggio 2006 quando mi trovai a Porto la seconda città del Portogallo in ordine di importanza situata in posizione opposta rispetto alla capitale Lisbona da dove ero venuto col treno!
La cittadina di Porto è chiamata anche città del nord proprio ad indicare la sua collocazione .
La mia visita purtroppo fù brevissima, pernottai per poi partire la mattina stesso dalla stazione di Sao Bento per la capitale, dico purtroppo poiché mi colpì, la trovai molto caratteristica e le "promisi"un soggiorno più adeguato.
A novembre del 2007 mantengo la mia promessa e dopo aver visitato Bragança e Guimaraes dedico a Oporto qualche giorno.
Noi tutti sappiamo che il Porto è anche il vino liquoroso che ha reso famosa la Città in tutto il mondo, morivo dalla curiosità di visitare le cantine e degustare questo nettare!!!!
Naturalmente la mia compagna non poteva che essere d'accordo e passando per i viottoli della Ribeira, il quartiere più antico e caratteristico di Porto il quale è stato dichiarato dall'Unesco Patrimonio dell'Umanita arriviamo alle sponde del fiume Douro.
Incantevole spettacolo, da una parte è straccolmo di localini dove si può ristorarsi e degustare i tipici piatti Portoghesi e negozi di souvenir e dall'altra il fiume dove numerose sono le caratteristiche imbarcazioni le ""Barcos Rabelos"" che in antichità venivano utilizzate per il trasporto del vino alle cantine di Vila Nova De Gaia dove il clima più favorevole rendeva ottimale la sua maturazione.
Oggi invece il vino viene trasportato con dei camion attraverso il bellissimo ponte Dom Louis I, questo enorme ponte in ferro è dotato di due livelli, quello inferiore è percorso da pedoni e autoveicoli e quello superiore dalla metropolitana leggera.
Noi decidiamo di farci una passeggiata ed ammirare il Douro dall'alto e quindi percorriamo il ponte a piedi,già dalla Ribeira si vedevano maestosi i cartelloni pubblicitari delle famosissime cantine Càlem,Sandeman.Offley,Taylor's ,Ramos Pinto ecc.
Come potete notare le cantine più famose e conosciute hanno dei nomi Britannici perché:
L'inizio della commercializzazione ed esportazione vera e propria del vino Porto si ebbe nel XVII secolo quando a causa della guerra la Francia inasprì i dazi doganali e le tasse di conseguenza gli Inglesi che si rifornivano da questa nazione bloccarono le importazioni di vino ponendo i loro sguardi su altre regioni costiere.
Approdarono in Portogallo , nacquè cosiì un rapporto commerciale molto intenso tanto che nel 1703 ci fù il Trattato di Methuen
questo stabiliva un'importazione di tessuti in lana(dagli inglesi) contro un'esportazione dei vini con degli sconti sui tassi doganali.
Nacquè quindi un rapporto commerciale tra i due stati e molti commercianti di vino inglesi decisero di trasferirsi in Portogallo e diventare loro stessi produttori ed esportatori di questo particolare Vino .
Arrivati dall'altra parte del fiume Douro decidiamo di visitare una cantina non conosciutissima a gestione familiare anche per assaggiare una produzione di Porto non reperibile in Italia.
Si chiama Vasconcellos e opera dal 1879.
Naturalmente c'è una guida, siamo un gruppo di quattro, due Italiani e due Spagnoli e la guida una signora paffutella e simpatica ci propone la Mezcla= Miscuglio tra lo spagnolo e l'italiano tutti accetiamo e iniziamo la visita.
D'apprima ci accompagna davanti ad uno schermo dove c'è un documentario e mentre le immagini scorrono lei ci spiega:
1) Un po' di storia (accennata precedentemente)
2) Geografia : Le uve utilizzate per la produzione del famosissimo vino sono prodotte in altitudine, i vigneti sono disposti in terrazze, la coltivazione avviene solo in una determinata zona dove il terreno scistoso ha delle peculiarità tali che riesce ad equilibrare il clima continentale caratterizzato da è inverni rigidi ed estati roventi .
La roccia scistosa che lo costituisce, infatti, assorbe l'umidità in inverno per rilasciarla in estate , inoltre trattiene il calore accumulato il giorno per rilasciarlo gradualmente la notte.
Questo permette la produzione di uve particolarmente dolci utilizzzate per la produzione del famosissimo Porto.
3)Tecniche di produzione: Ci viene mostrata la tecnica ormai in disuso del calpestare l'uva con i piedi in grandi vasche di pietra o di acciaio e ci dice che dopo circa due giorni viene bloccata la fermentazione del mosto con l'aggiunta di acquavite a circa 77°, l'acquavite ha la funzione di arrestare il processo nel momento opportuno da conferire quel tipico gusto dolce .
Visto il breve documentario ci mostra l'attuale apparecchiatura che effetua questo processo, dotata di uno strumento particolare per misurare la gradazione alcolica.
4)Ci illustra i vari tipi di Porto in ordine di importanza
White
Ruby= Miscela di Porto giovani di diverse annate,il colore è rosso intenso e l'aroma è fruttato
Tawny=Vino affinato in botte per non oltre 3 anni, il colore è bruno
Tawny invecchiato: E' dato dalla miscelazione di vini di diverse annate ,vini prestigiosi invecchiati per 10,20,30 fino ai 40 anni e oltre.
La guida ha sottolineato che la data degli anni di invecchiamento è stabilita dall'età media di tutti i vini utilizzati nella miscela e determinata dal loro gusto.
Un fattore che mi ha colpito è la variazione del gusto in base agli anni di invecchiamento e al tipo di botte utilizzata.
Ci ha spiegato che è molto importante il tipo di botte poiché rilascia le sostanze trattenute dal legno dagli invecchiamenti precedenti , più l'invecchiamento è lungo e più intenso sarà il sapore.
Diverse le varianti, ci ha detto che il Porto può avere un gusto di frutta secca, cioccolata o addirittura caffè.
Colheita:Porto raffinato prodotto da vini della stessa annata affinato in botte per non meno di 7 anni
Vintage: Molto pregiato, Porto ottenuto in vendemmie proclamate annate speciali. Sono messe in botte per circa due anni ma la loro maturazione avviene n bottiglia per circa 10 anni.
Singole Quinta: E' il più costoso prodotto da un'unica vigna.
Una volta aperti i vini maturati in bottiglia vanno filtrati e decantati per due ore circa poiche hanno sedimenti.
Finalmente la prova assaggio= degustazione.
Naturalmente le qualità di Porto da noi degustate erano quelle meno raffinate dato il costo delle bottiglie, una bottiglia di Vintage arriva a costare 100 euro.
Ci accomodiamo nel piano superiorel'atmosfera è molto carina, tavoli in legno e botti come piedistalli oppure tavolate lunghe per comitive:
Ci viene proposto il White in due versioni:
Lagrima = molto dolce, più dolce del moscato o della malvasia colore ambrato
Leve secco= meno dolce del precedente, viene servito fresco. Colore giallo pallido.
Ruby= profumatissimo dal colore rosso vivo, buono ma la testa inizia a girare
Tawny= Più scuro del precedente,inizia ad essere meno dolce.
La visita della cantina è conclusa, acquistiamo quattro bottiglie di Porto di cui una da 100 euro da aprire in occasioni speciali!!!
Dick - Saramago
Due c...apolavori :
Philip K. Dick - La Svastica Sul Sole.pdf
http://www.multiupload.com/C0R2P6RS79
Saramago José - Cecità.pdf
http://www.multiupload.com/GZL4QNTWIV
Philip K. Dick - La Svastica Sul Sole.pdf
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Saramago José - Cecità.pdf
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Il deserto della Libia - Mario Tobino
Mario Tobino nasce a Viareggio. Ragazzo vivace dopo il ginnasio, per tenere a freno una certa esuberanza e sopravvenuta insofferenza agli studi i genitori lo spediscono per un anno in collegio, a Collesalvetti. Ritornato a casa inizia gli studi liceali a Massa, ma la maturità la ottiene da privatista a Pisa. Il ragazzo già al liceo leggendo Machiavelli e Dante prova una emozione grandissima, segno premonitore della sua sensibilità e attitudine nello scrivere.
Il giovane dal carattere volitivo e insofferente, con una propensione agli studi umanistici legata ad una encomiabile aspirazione di aiutare il prossimo malato, decide di iscriversi a medicina all'Università di Pisa, studi che proseguirono e si conclusero con la laurea in medicina nel 1936 all'Università di Bologna. Contemporaneamente al periodo universitario svolge un'attività letteraria sia pur limitata per il poco tempo a disposizione, pubblicando alcuni scritti su riviste aperte ai contributi dei giovani letterati, e nel 1934 con il consenso positivo della critica pubblica Poesie, la sua prima raccolta di versi.
Tobino dopo la laurea viene chiamato ad assolvere il servizio militare in un primo tempo a Firenze poi come ufficiale medico nel Quinto Alpini a Merano. Tornato a casa a Bologna si specializza in neurologia, psichiatria e medicina legale, e incomincia a lavorare all'ospedale psichiatrico di Ancona. Durante la sua permanenza in questo luogo di sofferenza e di disagio compone una serie di poesie, pubblicate nel 1939 col titolo Amicizia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale viene richiamato e inviato sul fronte libico dove rimane fino al 1942: questa esperienza è raccontata nel romanzo Il deserto della Libia (1952) da cui son stati tratti due film, Scemo di guerra (1985) di Dino Risi e Le rose del deserto (2006) di Mario Monicelli.
Ritornato in Italia pubblica la raccolta di poesie Veleno e Amore, il romanzo Il figlio del farmacista e i racconti riuniti sotto il titolo La gelosia del marinaio, e riprende a lavorare in ospedali psichiatrici, prima per alcuni mesi a Firenze passando in seguito definitivamente a quello di Maggiano in provincia di Lucca. Nel 1943 partecipa attivamente alla Resistenza contro i nazifascisti in Toscana, e dalle vicende di lotta partigiana e fratricida prende spunto per scrivere il romanzo Il clandestino.
Nel dopoguerra Tobino si dedica con tutte le sue forze morali e spirituali alle sofferenze dei malati di mente, e contemporaneamente prosegue la sua attività di scrittore, raggiungendo una notorietà sempre più vasta e riconoscimenti numerosi. Muore ad Agrigento l’11 dicembre del 1991.
Il deserto della Libia: http://www.multiupload.com/WZ3IK6SYIZ
“La Libia libera i sogni, la morte esiste anche in questo luogo, ma non porta tristezza” (p.124). La guerra di Libia secondo Tobino: ventun prose ambientate in quest’arida terra che accende sogni e fantasie con i suoi paesaggi, ma è anche teatro di scontri mortali. Inizialmente troviamo la 31° Sezione Sanità “abbandonata a non far niente ai margini di un’oasi, come durante la guerra spesso accade ai reparti” (p.31).
Siamo nell’oasi di Sorman, vicino al confine tunisino, successivamente ci sposteremo verso Tobruk assediata, allora ci si scontrerà con la morte, con la guerra autentica, che però nel deserto assume sempre tinte strane, è anch’essa rivestita di quella polvere che il ghibli fa penetrare ovunque.
La Libia di Tobino è soprattutto il deserto, col suo paesaggio così diverso per gli italiani, “immobile terra senza lacrime, limpida fuliggine” (p.126), abbacinata dal sole, arsa dal calore. “Il sole era presente in tutte le cose” (p.12); “Il deserto sembrava un bianco osso al sole che da secoli non conosce sangue” (p.169).
Nel deserto la fantasia sradica tutti gli ormeggi e s’accende di sogni e visioni, gli uomini sono come imbambolati da tanta luce e calore e non sono più gli stessi, si scatenano in loro paure irrazionali, istinti oppure l’immaginazione galoppa all’inseguimento di visioni di bellezza.
Il deserto è presenza costante, assediante, la guerra si svolge lì, in quei luoghi ostili, sconosciuti, in una terra estranea e nuova, dove i soldati sono stati mandati contro la loro volontà a combattere una guerra assurda male armati, male equipaggiati, impreparati.
Lontano dalla retorica guerrafondaia del regime, Tobino mostra sia gli episodi comico-grotteschi della guerra – ad esempio nella figura del pazzo Oscar Pilli, che diventa capitano medico – sia tragici. Lo stesso Pilli ha un suo risvolto in questo senso: un matto al comando non può che provocare danni.
Tobino non giustifica, né approva la guerra, la vive, la racconta, cerca di comprenderne gli episodi, anche quelli crudeli, come appartenenti a una dimensione umana del vivere, che sempre gli è stata cara.
Antiretorico in tutti i sensi, rileva la stanchezza, la noia che aleggiano presso le truppe italiane, costrette a fughe umilianti o a soste nel deserto senza fare nulla.
Nessuno aveva voglia di combattere quella guerra, desiderio dei soldati è che tutto finisca presto e si possa ritornare a casa, anche se spesso la speranza viene meno e prevale il senso di abbandono: “I nostri soldati non avevano un nemico.Erano uomini che non riuscivano più a ragionare, non sapevano distinguere il vero dal falso, l’ignobile dal nobile.Avevano istinti e affetti. L’istinto di conservarsi; l’affetto per l’Italia, cioè la loro famiglia, la casa, il lavoro”. (p.157)
La visione di Tobino è antieroica, non trionfalistica: gli italiani obnubilati dalla propaganda, la ragione intorpidita, sono senza entusiasmo, demotivati. A volte diventano eroi senza neanche rendersene conto. Molti sono partiti in quanto “richiamati” oppure perché, in una delle tante adunate, avevano firmato per dare la loro disponibilità in caso di guerra, credendo che mai questa si sarebbe verificata.
Il libro è dedicato a tutti coloro che ricevettero la cartolina precetto e non “chiedettero visita” (per imboscarsi). E andarono, come Tobino.
Si ritrovarono spesso in situazioni grottesche, con un esercito non solo male armato, ma oppresso da una burocrazia assurda e intralciante, quella stessa che permette a Pilli di diventare una specie di eroe.
La burocrazia militare italiana “iniziata, procede, cieca, sorda, ottusa come uno scartafaccio, con nessuno, assolutamente nessuno che osi intromettersi a far scorgere la verità. La procedura militare era uno scartafaccio che avanzava con una forza negativa ma tremenda. L’unica forza di quell’esercito italiano” (p. 49). Emblematica la chiusa di “Da Tripoli ad Agedabia”: arrivano gli australiani, gli italiani rimasti vivi vengono fatti prigionieri. Le casse del reparto rimangono abbandonate, gli australiani le aprono pensando ci sia un tesoro e le trovano piene di carte, di circolari che buttano all’aria. “Le circolari ad ogni nuovo soffio saltarono da un ramuscolo per incespicare nel prossimo. Presero a ridere per tutto il deserto” (p. 129).
Alla burocrazia e alla sua ottusità Tobino è e sarà sempre – anche da psichiatra a Magliano – fortemente insofferente così come alla vigliaccheria, a chi dirige dall’alto e se ne sta imboscato senza affrontare guerra e deserto, a chi si fa rimpatriare per conoscenze e poi passa per eroe. A far da contraltare a morte e desolazione, presenti soprattutto nella seconda parte del libro ci sono episodi d’incontro con una civiltà e un popolo diversi, l’interesse verso usanze differenti, c’è la bellezza femminile esotica.
Pagine assai ispirate sono dedicate da Tobino alle donne arabe, avvolte da un’atmosfera leggendaria da Mille e una notte. È il tenente Marcello, un personaggio ricorrente, una sorta di alter ego tobiniano, il protagonista di fugaci e fascinosi incontri con queste donne, che vivono velate nell’ombra delle loro case, ma che celano malizie e audacia insospettabili. Donne di bellezza “inarrivabile” oppure donne che vogliono mostrarsi segretamente allo straniero gentile e raffinato che è medico e dunque può entrare nella loro intimità.
Marcello è un cercatore di bellezza, è un sognatore che ha bisogno di queste apparizioni per ridare colore alla sua vita.
Struggente è la storia di Alessandrina Tynne, la giovane olandese che nel 1869 volle avventurarsi all’interno dell’Africa e fu uccisa in un crudele agguato. Tobino la evoca e il tenente Marcello sogna di lei.
La Libia è anche conoscenza del popolo arabo, Tobino è attento osservatore ed è aperto all’incontro con un’umanità diversa con cui dialogare. La bella figura dell’arabo Mahmùd è significativa in questo senso: “sempre rapido ed energico nei movimenti come se uno spirito guerriero gli bruciasse di continuo nella persona”.
“Il deserto della Libia” è un libro dai numerosi aspetti, non è un diario e non è una cronaca di guerra, è espressione di uno spirito libero, che detesta qualsiasi retorica di ogni colore e rivendica comunque la propria parte di felicità. È voce di una generazione sacrificata, che conservò voglia di vivere ed entusiasmo.
Il giovane dal carattere volitivo e insofferente, con una propensione agli studi umanistici legata ad una encomiabile aspirazione di aiutare il prossimo malato, decide di iscriversi a medicina all'Università di Pisa, studi che proseguirono e si conclusero con la laurea in medicina nel 1936 all'Università di Bologna. Contemporaneamente al periodo universitario svolge un'attività letteraria sia pur limitata per il poco tempo a disposizione, pubblicando alcuni scritti su riviste aperte ai contributi dei giovani letterati, e nel 1934 con il consenso positivo della critica pubblica Poesie, la sua prima raccolta di versi.
Tobino dopo la laurea viene chiamato ad assolvere il servizio militare in un primo tempo a Firenze poi come ufficiale medico nel Quinto Alpini a Merano. Tornato a casa a Bologna si specializza in neurologia, psichiatria e medicina legale, e incomincia a lavorare all'ospedale psichiatrico di Ancona. Durante la sua permanenza in questo luogo di sofferenza e di disagio compone una serie di poesie, pubblicate nel 1939 col titolo Amicizia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale viene richiamato e inviato sul fronte libico dove rimane fino al 1942: questa esperienza è raccontata nel romanzo Il deserto della Libia (1952) da cui son stati tratti due film, Scemo di guerra (1985) di Dino Risi e Le rose del deserto (2006) di Mario Monicelli.
Ritornato in Italia pubblica la raccolta di poesie Veleno e Amore, il romanzo Il figlio del farmacista e i racconti riuniti sotto il titolo La gelosia del marinaio, e riprende a lavorare in ospedali psichiatrici, prima per alcuni mesi a Firenze passando in seguito definitivamente a quello di Maggiano in provincia di Lucca. Nel 1943 partecipa attivamente alla Resistenza contro i nazifascisti in Toscana, e dalle vicende di lotta partigiana e fratricida prende spunto per scrivere il romanzo Il clandestino.
Nel dopoguerra Tobino si dedica con tutte le sue forze morali e spirituali alle sofferenze dei malati di mente, e contemporaneamente prosegue la sua attività di scrittore, raggiungendo una notorietà sempre più vasta e riconoscimenti numerosi. Muore ad Agrigento l’11 dicembre del 1991.
Il deserto della Libia: http://www.multiupload.com/WZ3IK6SYIZ
“La Libia libera i sogni, la morte esiste anche in questo luogo, ma non porta tristezza” (p.124). La guerra di Libia secondo Tobino: ventun prose ambientate in quest’arida terra che accende sogni e fantasie con i suoi paesaggi, ma è anche teatro di scontri mortali. Inizialmente troviamo la 31° Sezione Sanità “abbandonata a non far niente ai margini di un’oasi, come durante la guerra spesso accade ai reparti” (p.31).
Siamo nell’oasi di Sorman, vicino al confine tunisino, successivamente ci sposteremo verso Tobruk assediata, allora ci si scontrerà con la morte, con la guerra autentica, che però nel deserto assume sempre tinte strane, è anch’essa rivestita di quella polvere che il ghibli fa penetrare ovunque.
La Libia di Tobino è soprattutto il deserto, col suo paesaggio così diverso per gli italiani, “immobile terra senza lacrime, limpida fuliggine” (p.126), abbacinata dal sole, arsa dal calore. “Il sole era presente in tutte le cose” (p.12); “Il deserto sembrava un bianco osso al sole che da secoli non conosce sangue” (p.169).
Nel deserto la fantasia sradica tutti gli ormeggi e s’accende di sogni e visioni, gli uomini sono come imbambolati da tanta luce e calore e non sono più gli stessi, si scatenano in loro paure irrazionali, istinti oppure l’immaginazione galoppa all’inseguimento di visioni di bellezza.
Il deserto è presenza costante, assediante, la guerra si svolge lì, in quei luoghi ostili, sconosciuti, in una terra estranea e nuova, dove i soldati sono stati mandati contro la loro volontà a combattere una guerra assurda male armati, male equipaggiati, impreparati.
Lontano dalla retorica guerrafondaia del regime, Tobino mostra sia gli episodi comico-grotteschi della guerra – ad esempio nella figura del pazzo Oscar Pilli, che diventa capitano medico – sia tragici. Lo stesso Pilli ha un suo risvolto in questo senso: un matto al comando non può che provocare danni.
Tobino non giustifica, né approva la guerra, la vive, la racconta, cerca di comprenderne gli episodi, anche quelli crudeli, come appartenenti a una dimensione umana del vivere, che sempre gli è stata cara.
Antiretorico in tutti i sensi, rileva la stanchezza, la noia che aleggiano presso le truppe italiane, costrette a fughe umilianti o a soste nel deserto senza fare nulla.
Nessuno aveva voglia di combattere quella guerra, desiderio dei soldati è che tutto finisca presto e si possa ritornare a casa, anche se spesso la speranza viene meno e prevale il senso di abbandono: “I nostri soldati non avevano un nemico.Erano uomini che non riuscivano più a ragionare, non sapevano distinguere il vero dal falso, l’ignobile dal nobile.Avevano istinti e affetti. L’istinto di conservarsi; l’affetto per l’Italia, cioè la loro famiglia, la casa, il lavoro”. (p.157)
La visione di Tobino è antieroica, non trionfalistica: gli italiani obnubilati dalla propaganda, la ragione intorpidita, sono senza entusiasmo, demotivati. A volte diventano eroi senza neanche rendersene conto. Molti sono partiti in quanto “richiamati” oppure perché, in una delle tante adunate, avevano firmato per dare la loro disponibilità in caso di guerra, credendo che mai questa si sarebbe verificata.
Il libro è dedicato a tutti coloro che ricevettero la cartolina precetto e non “chiedettero visita” (per imboscarsi). E andarono, come Tobino.
Si ritrovarono spesso in situazioni grottesche, con un esercito non solo male armato, ma oppresso da una burocrazia assurda e intralciante, quella stessa che permette a Pilli di diventare una specie di eroe.
La burocrazia militare italiana “iniziata, procede, cieca, sorda, ottusa come uno scartafaccio, con nessuno, assolutamente nessuno che osi intromettersi a far scorgere la verità. La procedura militare era uno scartafaccio che avanzava con una forza negativa ma tremenda. L’unica forza di quell’esercito italiano” (p. 49). Emblematica la chiusa di “Da Tripoli ad Agedabia”: arrivano gli australiani, gli italiani rimasti vivi vengono fatti prigionieri. Le casse del reparto rimangono abbandonate, gli australiani le aprono pensando ci sia un tesoro e le trovano piene di carte, di circolari che buttano all’aria. “Le circolari ad ogni nuovo soffio saltarono da un ramuscolo per incespicare nel prossimo. Presero a ridere per tutto il deserto” (p. 129).
Alla burocrazia e alla sua ottusità Tobino è e sarà sempre – anche da psichiatra a Magliano – fortemente insofferente così come alla vigliaccheria, a chi dirige dall’alto e se ne sta imboscato senza affrontare guerra e deserto, a chi si fa rimpatriare per conoscenze e poi passa per eroe. A far da contraltare a morte e desolazione, presenti soprattutto nella seconda parte del libro ci sono episodi d’incontro con una civiltà e un popolo diversi, l’interesse verso usanze differenti, c’è la bellezza femminile esotica.
Pagine assai ispirate sono dedicate da Tobino alle donne arabe, avvolte da un’atmosfera leggendaria da Mille e una notte. È il tenente Marcello, un personaggio ricorrente, una sorta di alter ego tobiniano, il protagonista di fugaci e fascinosi incontri con queste donne, che vivono velate nell’ombra delle loro case, ma che celano malizie e audacia insospettabili. Donne di bellezza “inarrivabile” oppure donne che vogliono mostrarsi segretamente allo straniero gentile e raffinato che è medico e dunque può entrare nella loro intimità.
Marcello è un cercatore di bellezza, è un sognatore che ha bisogno di queste apparizioni per ridare colore alla sua vita.
Struggente è la storia di Alessandrina Tynne, la giovane olandese che nel 1869 volle avventurarsi all’interno dell’Africa e fu uccisa in un crudele agguato. Tobino la evoca e il tenente Marcello sogna di lei.
La Libia è anche conoscenza del popolo arabo, Tobino è attento osservatore ed è aperto all’incontro con un’umanità diversa con cui dialogare. La bella figura dell’arabo Mahmùd è significativa in questo senso: “sempre rapido ed energico nei movimenti come se uno spirito guerriero gli bruciasse di continuo nella persona”.
“Il deserto della Libia” è un libro dai numerosi aspetti, non è un diario e non è una cronaca di guerra, è espressione di uno spirito libero, che detesta qualsiasi retorica di ogni colore e rivendica comunque la propria parte di felicità. È voce di una generazione sacrificata, che conservò voglia di vivere ed entusiasmo.
such loud noise part two
such loud noise part 2
(selezione by fabriolo)
01.jesus_lizard-gladiator
02.learning_music-short_tempered
03.mark_mcguire-aquaduct
04.michael_oshea-anfa_dasachtach
05.mulatu_astatke-tezeta
06.nosaj_thing-1685bach
07.pos-drumroll
08.pumice-pumice_quo
09.real_quiet-mechanically_separated_chicken_parts
10.ryoji_ikeda-data_triplex
11.sic_alps-stories
12.skoal_kodiak-nerve_dice
13.slepcy-with_charles_bukowski_on_the_ride
14.sun_ra-angels_and_demons_at_play
15.the_blind_shake-carbohydrates_hydrocarbons
16.theoretical_girls-us_millie
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(selezione by fabriolo)
01.jesus_lizard-gladiator
02.learning_music-short_tempered
03.mark_mcguire-aquaduct
04.michael_oshea-anfa_dasachtach
05.mulatu_astatke-tezeta
06.nosaj_thing-1685bach
07.pos-drumroll
08.pumice-pumice_quo
09.real_quiet-mechanically_separated_chicken_parts
10.ryoji_ikeda-data_triplex
11.sic_alps-stories
12.skoal_kodiak-nerve_dice
13.slepcy-with_charles_bukowski_on_the_ride
14.sun_ra-angels_and_demons_at_play
15.the_blind_shake-carbohydrates_hydrocarbons
16.theoretical_girls-us_millie
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such loud noise part one
such loud noise part 1
(selezione by fabriolo)
01.beach_house-gila
02.bibio-haikuesque
03.biosphere-daphnis_26
04.brightblack_morning_light-oppressions_each
05.childs_view-the_cradle
06.dark_dark_dark-trouble_no_more
07.deastro-the_shaded_forests
08.dirty_projectors-not_having_found
09.dokkemand-lumpa
10.elizabeth_anka_vajagic-where_you_wonder
11.giant_skyflower_band-oh_mary_green
12.growing-innit
13.hala_strana-fanfare
14.hannu-theme_for_grant
15.have_a_nice_life-earthmover
16.health-before_tigers
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(selezione by fabriolo)
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02.bibio-haikuesque
03.biosphere-daphnis_26
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08.dirty_projectors-not_having_found
09.dokkemand-lumpa
10.elizabeth_anka_vajagic-where_you_wonder
11.giant_skyflower_band-oh_mary_green
12.growing-innit
13.hala_strana-fanfare
14.hannu-theme_for_grant
15.have_a_nice_life-earthmover
16.health-before_tigers
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giovedì 30 settembre 2010
Napoli: dentro il vulcano
di Roberto Saviano
Andato in onda nel 2006 su Radio3 a il Terzo Anello, "Napoli: dentro il vulcano", di Roberto Saviano, dieci puntate realizzate dallo scrittore partenopeo.
sito personale di Roberto Saviano
Andato in onda nel 2006 su Radio3 a il Terzo Anello, "Napoli: dentro il vulcano", di Roberto Saviano, dieci puntate realizzate dallo scrittore partenopeo.
Dopo "Gomorra", firmando il suo primo programma radiofonico, Saviano continua la sua indagine su Napoli, cartina tornasole di un sistema economico che coinvolge tutta l'Italia.
Nel racconto di Saviano, accompagnato nella prima puntata dalla musica, dalle parole e dalla voce di tre gruppi napoletani (Co'sang, A67 e Kosanost), la città di Napoli è il punto d'osservazione dal quale partire per un viaggio attraverso i maggiori sistemi dell'economia del sud e non solo: il tessile, l'edilizia, il mercato delle armi, le discariche.
Accanto alle storie, Saviano traccia una serie di riflessioni sulla forza e la capacità della parola di incidere sulla realtà: l'ultima puntata del programma, "Scrivere le cose", è proprio dedicata alla letteratura. Che può - e ha quasi il bisogno di - raccontare lo sfruttamento delle merci e degli uomini: dei ragazzini, nuovi arruolati della camorra o coinvolti nel lavoro delle discariche; delle donne, siano queste imprenditrici o vittime involontarie della violenza; del cinema, che muove desideri e interessi nell'immaginario collettivo.
backup mp3Questi gli argomenti delle puntate: "La musica racconta Napoli: Co'sang, A167, Kosanost" (lunedì 27/11/06); "Viaggio nelle nuove geografie del tessile: geografia e odore delle merci" (martedì 28/11/06); "Cemento, viaggio nella nuova edilizia: i treni dal sud a nord" (mercoledì 29/11/06); "Il mercato delle armi: Kalashnikov" (giovedì 30/11/06); "Le discariche" (venerdì 1/12/06); "Donne: le manager e le vittime di camorra" (lunedì 4/12/06); "Scampia: il mondo salvato dai ragazzini" (martedì 5/12/06); "Il cinema e la camorra: l'immagine criminale alimentata dal cinema" (mercoledì 6/12/06); "Secondigliano: mercato della droga" (giovedì 7/12/06); "Scrivere le cose" (venerdì 8/12/06).
sito personale di Roberto Saviano
Onnivori o vegetariani ?
Ecco cosa pensano alcuni celebri naturalisti
Tratto da EVU News, N°2/1996
Prof. Luis Vallejo Rodriguez Segretario dell’Associazione Vegetariana delle Isole Canarie
Si ritiene attualmente che l’uomo debba mangiare carne per avere un regime equilibrato che contenga proteine di buona qualità. Lo affermano perfino eminenti Dottori come Francisco Grande Govian, recentemente scomparso, considerato la massima autorità in Spagna in fatto di nutrizione. A questo dobbiamo aggiungere che il Ministero della Sanità raccomanda di mangiare carne e che la maggior parte della popolazione ne mangia e la considera un buon nutrimento. Tuttavia, nonostante ciò, è sorprendente che i più celebri naturalisti dell’umanità siano stati vegetariani o quanto meno abbiano dichiarato uno dopo l’altro che l’uomo è per natura vegetariano.
Dobbiamo considerare che il termine “vegetariano” e “vegetarismo” comparvero verso il 1838; dunque, prima di questa data, non li troviamo in nessun testo, ed è per questo che i naturalisti parlano di nutrimento vegetale o di regime vegetale. La non esistenza di questi termini rende difficoltose le indagini.Per di più, per sapere se un naturalista famoso era o no vegetariano, dobbiamo leggere le biografie di ognuno. Le biografie sono difficili se non impossibili da trovare, perché non tutte sono state scritte. Sono state scritte biografie su artisti celebri ma molto poche su uomini di scienza. A questa difficoltà se ne aggiunge un’altra: lo scarso interesse degli scrittori per le abitudini alimentari dei personaggi sui quali scrivevano. È così che Colin Spencer, ad esempio, nel suo libro The Heretics Feast si lamenta che fra sessanta biografie su Leonardo da Vinci soltanto due dicano che egli era vegetariano.
Nonostante tutte queste difficoltà, le dichiarazioni dei più famosi naturalisti dell’umanità hanno espresso un messaggio molto chiaro e, a prova di ciò, leggete che cosa hanno detto:
John Ray (1628-1704) era considerato il padre della storia naturalista inglese e in suo onore fu fondata un’Associazione che porta il suo nome: “The Ray Society”. Di seguito John Ray:
Non c’è dubbio che l’uomo non è stato concepito per essere un animale carnivoro.Inoltre egli dichiara:
A) Che invitante, piacevole ed innocente visione è lo spettacolo di una tavola così imbandita e che differenza con preparazioni a base di carne animale fumante, abbattuta e morta! In alcun modo l’uomo ha la costituzione di un carnivoro. Caccia e voracità non gli sono congeniali. L’uomo non ha né i denti aguzzi né le unghie per uccidere la sua preda. Al contrario le sue mani sono fatte per cogliere frutti, bacche, ortaggi, e i suoi denti sono adatti a masticarli.
B) Tutto quello di cui abbiamo bisogno per nutrirci, ristorarci e deliziarci è abbondantemente presente nel magazzino inesauribile della Natura. Che vista gradevole, invitante e innocente una tavola allestita in modo frugale, e che differenza con un pasto a base di carne animale fumante e uccisa. In sintesi, i nostri contadini offrono tutte le delizie immaginabili, mentre i mattatoi e le macellerie sono piene di sangue coagulato e di odore nauseabondo.
Un altro naturalista celebre è Carl Linnée (1707-1778), Dottore della Marina Svedese, Presidente dell’Accademia delle Scienze, e professore di Botanica a Stoccolma e all’Università di Upsala. Linnée ha creato il metodo di classificazione naturale delle piante e degli animali, utilizzato tutt’ora, sebbene siano trascorsi due secoli. Linnée ha scritto:
A) I frutti e le piante commestibili costituiscono il nutrimento più appropriato per l’uomo.
B) A partire dalla sua anatomia, l’uomo non è stato fisiologicamente progettato per mangiare carne.
C) I frutti sono il nutrimento più adatto all’uomo per via della conformazione dei suoi denti e del suo apparato digerente; ciò si evince da quel che è stato dimostrato attraverso la comparazione con i quadrupedi.
Il naturalista francese Georges Louis Leclerc, meglio conosciuto come Conte di Buffon (1707-1778) fu membro dell’Accademia delle Scienze, Amministratore del Giardino del Re e, con la collaborazione di molti altri, ha scritto: “Storia Naturale” in 36 volumi. Buffon ha stabilito che:
L’uomo potrebbe vivere soltanto di vegetali. Tuttavia la natura intera non basta a soddisfare la sua intemperanza e l’inconsistente varietà del suo appetito. L’uomo da solo consuma e divora più carne di tutti gli animali messi insieme, senza necessità, ma sotto forma di abuso.
Il dr. Louis d’Aubenton un collaboratore di Buffon, meglio noto come Daubenton già professore di Mineralogia presso il Giardino del Re e di Storia Naturale presso la Scuola di Medicina, afferma quanto segue:
Si può presumere che l’uomo, quando vive in modo naturale e in un clima temperato laddove la terra produce spontaneamente ogni sorta di frutti, se ne nutra e non mangi animali.
Georges Cuvier (1769-1832) naturalista francese, anatomista e geologo. Fu professore presso la Scuola e il Museo di Francia, Segretario dell’Accademia delle Scienze e Cancelliere dell’Università. Creò la teoria dell’Anatomia Comparata e la Paleontologia. Grazie ai suoi studi abbiamo potuto ricostruire specie per specie quelle scomparse. Cuvier ricevette i titoli di Barone, Grande Ufficiale della Legion d’Onore; fu onorato da Napoleone primo, Luigi XVIII e Luigi Filippo. Cuvier dichiarò nella sua opera Lezioni di Anatomia Comparata che:
L’Anatomia comparata ci insegna che in ogni dettaglio l’uomo somiglia agli animali frugivori e per niente ai carnivori … Solo camuffando la carne morta, resa più tenera da tecniche culinarie, è possibile per l’uomo masticarla e digerirla, solo così la vista di carni crude e sanguinolente non suscita orrore e disgusto.
Torniamo su alcune constatazioni fatte dal Cuvier:
A) La costituzione dei principali organi dell’uomo dimostra che la sua alimentazione non dovrebbe consistere in null’altro che dei vegetali.
B) Il cibo naturale dell’uomo, se consideriamo la sua struttura, dovrebbe consistere in frutta, radici, ortaggi (verdure).
C) L’intero corpo umano, fin nel più piccolo dettaglio, è destinato per natura ad un regime esclusivamente vegetale.
D) L’uomo sembra fatto per nutrirsi principalmente di frutta, radici e altre parti succulente (ricche d’acqua) dei vegetali. Le sue mani gli consentono facilmente di cogliere tutto ciò; d’altro canto, le sue mascelle corte e di forza media, i suoi canini uguali (di pari lunghezza) agli altri denti e i suoi molari a forma di tubero non gli permetterebbero né di brucare l’erba né di divorare la carne, a meno che egli non renda questi cibi commestibili attraverso la cottura.
Alexander von Humbold (1769-1859), Naturalista tedesco, esploratore e geografo. Fornì studi sul magnetismo e sostenne la teoria dell’origine eruttiva delle rocce. È considerato il fondatore della Climatologia, della morfologia terrestre, della geografia fisica degli oceani e della geografia dei pianeti. Scrisse un’opera in trenta volumi dal titolo “Mondi e Viaggi nelle regioni equinoziali del Nuovo Mondo”. Humbold dice questo:
Nutrirsi di animali non è lontano dall’antropofagia e dal cannibalismo. La stessa quantità di terra utilizzata per pascere e nutrire del bestiame potrebbe nutrire dieci persone; se poi la coltiviamo a lenticchie, fagioli o piselli, potrebbe nutrire un centinaio di persone…. Il Bacino dell’Orinoco può produrre una quantità di banane sufficiente a nutrire con ampio margine l’intera umanità.
Richard Owen (1804-1892) naturalista inglese, studiò Cuvier, catalogò la collezione della caccia al British Museum e allestì il Museo di Storia Naturale del Sud Kensington. Studiò anatomia e fisiologia comparate. Scrisse Corsi di Anatomia Comparata, Paleontologia e Fisiologia dei Vertebrati. Owen ha detto:
A) Gli antropoidi e tutti i quadrumani ricavano la loro alimentazione dai frutti, dai semi e da altre succose sostanze vegetali e la stretta analogia fra la struttura degli animali e quella dell’uomo dimostra palesemente il loro frugivorismo naturale.
B) Le scimmie, la cui dentizione è pressoché uguale a quella dell’uomo, vivono principalmente di frutta, noci ed altre varietà simili per consistenza, sapore e valore nutritivo elaborate dal mondo vegetale. La somiglianza profonda fra i denti dei quadrumani e quelli degli uomini dimostra che l’uomo era in origine adatto a mangiare i frutti degli alberi nel Paradiso.Sicuramente il più celebre di tutti i naturalisti inglesi fu d’accordo con gli altri naturalisti. Mi riferisco a Charles Darwin (1800.1882) il quale all’età di 22 anni iniziò un viaggio per il mondo che durò 5 anni. Durante il viaggio Darwin raccolse del materiale che servì a pubblicare il più celebre dei suoi libri nel 1859: l’Origine delle Specie per mezzo della Selezione Naturale. Darwin fu membro della Royal Society di Londra e, dopo la sua morte, fu sepolto nell’Abbazia di Westminster con funerale solenne e la presenza diplomatica di grandi nazioni alle sue esequie. Darwin ha scritto:
La classificazione per forma, funzioni organiche e regime (alimentare) mostra in maniera inconfutabile che il nutrimento normale dell’uomo è vegetale come quello degli antropoidi e delle scimmie, che i nostri canini sono meno sviluppati dei loro e che noi non siamo destinati a competere con le bestie selvagge o gli animali carnivori.
Nel suo libro L'origine dell'uomo e la scelta in rapporto col sesso (1871. The descent of man, and selection in relation to sex. London: John Murray. 1st ed.) egli dice:
At the period and place, whenever and wherever it may have been, when man first lost his hairy covering, he probably inhabited a hot country; and this would have been favourable for a frugiferous diet, on which, judging from analogy, he subsisted.
In qualunque periodo e in qualunque luogo, quando e dove ciò possa essere seguìto, è probabile che l'uomo, allorchè cominciò a perdere la sua veste di peli, abitasse un paese caldo; e ciò doveva essere stato favorevole ad un regime frugivoro, del quale, giudicando dall'analogia, egli deve aver vissuto.
Thomas Henry Huxley (1825-1895), Dottore e Antropologo inglese, sostenne le teorie di Darwin e divenne presidente della Royal Society. Fra l’altro egli ha scritto Evidenze zoologiche del Posto dell’Uomo nella Natura e nell’Anatomia Comparata. Leggiamo alcune dichiarazioni di Huxley:
A) L’uomo venne prima della caccia e del fuoco, non poteva dunque essere onnivoro.
B) La lunghezza dell’apparato digerente dell’uomo è di 5-8 metri e la distanza fra la bocca e il coccige va dai 50 agli 80 centimetri, cosa che ci dà un rapporto di 10, come per gli altri animali frugivori, e non di 3 come per i carnivori o di 20 come per gli animali erbivori.
C) L’unico animale esistente con una morfologia onnivora è l’orso, il quale ha alcuni denti affilati e gli altri piatti.
Sir Arthur Keith (1866-1955) Celebre Anatomista ed Antropologo inglese.
Insieme ad MartinFlack, scoprì il ganglio sinoauricolare da cui hanno origine le contrazioni cardiache. Già Rettore dellUniversità di Aberdeen, scrisse: Istruzioni per lo Studio delle Scimmie Antropoidi, Vecchi Tipi di Uomo e Saggio sull’Evoluzione degli Umani. Questo Antropologo ci dice:
Gli Scimpanzé e i Gorilla hanno gli stessi meccanismi digestivi dell’uomo. È la prova dell’Anatomia Comparata in favore di un regime di crudità che permette alla fermentazione di produrre molte feci quotidiane, morbide e senza putrefazione.Tutto ciò rappresenta le ricerche dei più celebri naturalisti che l’umanità abbia avuto. Dobbiamo osservare che i loro studi furono sostenuti e fecero riferimento al confronto dell’anatomia dell’uomo con quella di altri mammiferi, in particolare delle scimmie, e ci parlano della conformazione dei denti e degli apparati digerenti di questi mammiferi. A questo riguardo tutti i naturalisti celebri sono arrivati alla medesima sorprendente conclusione: l’uomo è vegetariano per natura e se la parola “vegetariano” non compare nei loro scritti è perché il termine non esisteva prima del 1838, e perché gli studi di questi naturalisti celebri furono scritti prima di questa data.
Potremmo argomentare contro il vegetarismo che le immagini dell’uomo preistorico sulle rocce delle caverne ce lo mostrano come cacciatore. Questo tuttavia non significa che la carne sia la forma ideale di nutrimento per l’uomo. Dobbiamo tener conto del fatto che l’antropologo Alan Walker, dell’Università di John HopKins, quando studiava le impronte fossili dei denti, trovò un assortimento di diversi alimenti. Egli ribadì che i nostri primi antenati non vissero principalmente di carne, né di semi, né di bacche, di foglie o di erba e nemmeno che fossero onnivori. Sembra che essi si sostenessero principalmente con un regime di frutta. Non ha trovato eccezioni. Ogni dente fu esaminato e quelli appartenenti ad ominidi di 12 milioni di anni fa ed ereditati in linea diretta dall’Homo Erectus, dimostrano che questi ominidi erano mangiatori di frutta.
Alan Walker (published in New York Times, May 15, 1979).
Preliminary studies of fossil teeth have led to the startling suggestion that our early human ancestors were not predominantly meat eaters or even eaters of seeds, shoots, leaves, or grassses. Nor were they omniverous. Instead, they appear to have subsisted chiefly on A DIET OF FRUIT. NO EXCEPTIONS HAVE BEEN FOUND. Every tooth examined from the hominids of the 12 million year period leading up to Homo-Erectus appeared to be that of a fruit eater.Per concludere voglio porre ai lettori questa domanda: l’uomo è vegetariano per natura? Attualmente la maggior parte dei Dottori ci dicono che non lo è ma i più celebri naturalisti hanno dedotto tutti che lo è.
Se fosse veramente così solo una piccola minoranza della popolazione dei paesi sviluppati, quelli che noi chiamiamo Vegetariani, mangerebbe correttamente, mentre la maggior parte della popolazione mangerebbe in modo scorretto,
Pr. Luis Vallejo Rodriguez
Segretario dell’Associazione Vegetariana delle Isole Canarie
Strada 3557, Las Palmas, Isole Canarie, Spagna
Il Prof Rodriguez ha pubblicato tre libri in spagnolo:
- Guarigione dal cancro attraverso la pulizia del colon (1990)
- Alimentazione e successo scolastico (1991)
- Il cancro e gli interessi correlati (e gli interessi che ne sono nati) (1993)
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