Quest’estate ho incontrato un’amica che si trovava a trascorrere le vacanze dalle nostre parti. Abbiamo cenato insieme e ho notato che sua figlia (11 anni) non mangia carne. I bambini sono molto sensibili, amano gli animali e spesso decidono di non mangiarli, per poi cedere di fronte al primo hamburger. Ho chiesto alla mamma da quanto tempo sua figlia non mangiava carne (né pesce).
“Da quando aveva tre anni”
Un giorno, mi ha raccontato, la piccola stava gustando con piacere un bel petto d’anatra. Lo trovava delizioso e ha chiesto alla mamma che cosa fosse. “Anatra”, ha risposto lei. La bambina è scoppiata a ridere pensando che fosse uno scherzo. Poi si è fatta seria quando ha capito che non lo era. “È un papà o una mamma anatra?”.
La piccola Prune aveva appena capito che alcune delle cose che fino a quel momento aveva tranquillamente consumato erano animali e, nonostante ne apprezzasse il sapore, ha deciso che non li avrebbe mangiati più. Inizialmente i genitori hanno pensato che si trattasse di una sorta di “capriccio” temporaneo l’hanno assecondato. Otto anni dopo, guardano la loro figlia con rispetto ed ammirazione.
La mia, di ammirazione, per questa bambina, va addirittura oltre. Tante volte ho pensato che avrei voluto diventare vegetariana. Poi però ho sempre trovato un sacco di scuse: mi piace troppo la carne, non saprei cosa cucinare al suo posto, eccetera eccetera. Quest’estate, poi, ho avuto a casa mio cugino Andrea, 17 anni, vegano militante. Andrea ha guardato un sacco di documentari che mostrano il modo in cui gli animali vengono allevati e macellati, e mi ha raccontato che le urla più strazianti sono quelle della mucca a cui viene tolto il suo vitello. Perché il suo latte lo dobbiamo bere noi e non lui.
Ci avete mai pensato a questa cosa? Mi è successo di pensare distrattamente al povero vitellino. Ma che la mucca piangesse disperata non me lo immaginavo. Questo è un estratto di un messaggio che Andrea mi ha scritto in seguito:
«Immagina di partorire in una stanza vuota, senza nessuno che ti è vicino, e da sola (con tutto il dolore che comporta) riesci a “darlo alla luce”, se non fosse che qualcuno entra nella stanza, e subito ti prende il bambino e lo porta via. Tu quel bambino non lo vedrai mai più, ma sai cos’altro c’è? Sarà chiuso in una stanza davanti alla tua, tu lo sentirai piangere perché ha fame, perché ti cerca, ma non puoi fare niente. Hai il latte per nutrirlo, ma lo stesso uomo che ti ha tolto il bambino, ogni giorno entra per prenderti il latte e poi venderlo. Fine della storia. Ah no dimenticavo! Tempo sei mesi e lo macelleranno. Tu vivrai questo per anni, finché non sarai più in grado di fare figli, poi macelleranno anche te.
Ti ho scritto questa “storiella” per farti immaginare come sarebbe vivere una situazione del genere. Ma credimi, il benessere degli animali non interessa a nessuno. A nessuno interessa che i gas emessi dalle montagne di escrementi animali hanno un ruolo primario nel riscaldamento globale, né quantomeno che 1 kg di carne ci costa decine di chili di colture. Le persone non si toglieranno il pane, o meglio, la carne di bocca per ragioni etiche o ambientali. Alla gente devi raccontare di tutti i benefici che possono ottenere con una dieta vegana per convincerla»
Ad Andrea ho detto di aver letto molto sull’argomento ma di non aver mai avuto il coraggio di guardare uno di quei video. «Comodo!» Mi ha risposto. Non hai voglia di guardarli, allora non li guardi. Perché sai che se lo fai poi dovrai prendere una posizione.
«Io quelle urla le ho nella testa, le ho sentite! E piango quando vedo la mia ragazza bere il latte, perché quel bicchiere di latte non le appartiene, come non appartiene a nessuno di noi»
Dopo tutte queste discussioni con Andrea, ero già sulla buona strada. Ma rendermi conto che una bambina di tre anni ha avuto una forza di volontà di gran lunga superiore alla mia mi ha proprio fatta vergognare. Da quel giorno non ho più toccato un pezzo di carne né di pesce. E non è stata poi così dura. Quando sono in presenza di persone che mangiano carne (che adoro!) o quando la preparo per mio marito e per i miei figli, penso a Prune e mi passa la voglia. Quella bambina è diventata il mio guru.
Ora non mi sentirete dire che sono diventata vegetariana perché questa definizione per me è indissolubilmente legata al fallimento. Non voglio darmi un’etichetta. Non mi interessa “essere vegetariana”. Mi interessa smettere di mangiare gli animali. Detta così mi sembra molto più semplice.
Non mi sento ancora pronta per rinunciare anche ai latticini (e nemmeno per guardare i video delle mucche disperate) ma sono certa che quello sarà il prossimo passo. Magari ci vorranno mesi, o forse anni. Ma questi due ragazzi hanno fatto scattare in me un meccanismo che mi sembra difficilmente reversibile.
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