C’era una volta un bruco allegro e giocondo che se la
spassava nel prato coi suoi colori vivaci, giallo rosso e blu, ed era l’unico
ad avere il corpo così dipinto. Glielo dicevano ammirati ma con un pizzico
d’invidia tutti gli altri animali che incontrava nelle sue striscianti
passeggiate. Se gli altri avevano ali con cui volare e zampe con le quali
correre, non avevano però colori vivaci come i suoi. Il merlo e il corvo, i colombi e gli
scoiattoli, le talpe e le nutrie lo salutavano affettuosamente, perché dispiaceva
loro che una tale bellezza dovesse andarsene così in giro strisciando e
contorcendosi nel terreno e tra i fili d’erba per potersi spostare da un posto
a un altro.
Il bruco era felice di avere così tanti amici ed era
orgoglioso del suo giallo, del suo blu e del suo rosso, ma si domandava ogni
giorno se ci poteva essere per lui un rimedio per non trascinarsi più e
riuscire magari a camminare o addirittura volare.
Un giorno, avendo sentito un suono a lui sconosciuto e che
non riusciva a identificare, vi si diresse e scoprì un fiume d’acqua azzurra
che scorreva lentamente in un letto di sabbia e ghiaia. Si avvicinò ad esso più
che poté sistemandosi su un sasso che sporgeva sul fiume, e da lì vide strane
creature che senza zampe e senza ali si muovevano nell’acqua. Pensò che forse lui era uno di loro e che per
sbaglio si era trovato a vagare sulla terra; decise allora di tuffarsi in
quella corrente e rivolse alcune domande ai pesci, ma i pesci non emettevano
suoni, erano muti e quando provava ad abbracciarli si rese conto di quanto
fossero sfuggenti.
Si accorse inoltre che stava strisciando sul greto del fiume
e i pesci gli nuotavano sopra, allora suo malgrado e con grande delusione
ritornò a riva e uscì ad asciugarsi su una foglia di quercia mentre qualche
starnuto lo faceva tremare tutto.
A un tratto sul ramo accanto al suo si posò un passerò e il
bruco si aspettava di sentirsi lodare per i suoi colori, ma il passero non lo
degnò neanche di uno sguardo e se ne volò via.
Poi arrivò un gatto che non solo non disse niente di bello nei suoi
confronti, ma ebbe l’ardire di dargli una zampata sul muso e meno male che non
aveva estratto gli artigli altrimenti sai che dolore!
Ma che stava succedendo? Capì cos’era successo quando per
caso si specchiò dall’alto del suo ramo nelle acque del fiume e non vide altro
che un bruco incolore e trasparente.
Sopraggiunse la notte e nel buio neanche più i gufi e le
civette si accorgevano della sua esistenza.
Possibile che quel tuffo nel fiume gli avesse fatto perdere
tutta la sua bellezza! Adesso il suo strisciare passava in secondo piano,
quello che ora lo rendeva infelice era di non possedere più il giallo e il
rosso e il blu del suo molle corpicino.
Al mattino, in preda alla disperazione, rivolge una supplice
preghiera al sole che impietositosi gli
cede un po’ del suo giallo; allora fattosi coraggio il bruco va dal papavero e
gli chiede un po’ di rosso, ma quello era così vanitoso e geloso del suo colore
che gliene diede pochissimo e il bruco anziché rosso si trovò ad essere rosa.
Così decide di chiederlo al fuoco, ma per non bruciarsi fu costretto a
prenderne pochissimo anche da lui restando rosa come prima; pertanto decise di
chiederlo a un grappolo d’uva che spremendosi lo inondò di succo rosso.
Infine si rivolse al cielo per un po’ di blu, ma quello era
così alto e lontano che gli cedette a mala pena un pallido azzurro. Provò
allora a chiederlo al mare che lo travolse con un cavallone e gli regalò tutto
il blu che desiderava.
Finalmente il bruco tornò nel prato dove ritrovò i suoi
amici pronti ad ammirarlo per i suoi nuovi colori e fu di nuovo felice; ma era
più felice di prima perché adesso non si crucciava più del suo strisciare né se
ne vergognava più.